Renato Attolini
Senatore
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Inserito - 07/01/2004 : 21:52:23
LA CATENINA."Pioggia maledetta, schifosissima dannata pioggia!". L'imprecazione, una delle tante di quella sera e non certo la più pesante, mi sgorgò dalle labbra con una rabbia e violenza pari solo all'infuriare del temporale che si stava abbattendo su di me mentre cercavo di guidare attaccato al parabrezza, lavorando di straccio nel disperato quanto inutile tentativo di migliorare la visibilità. Mi trovavo sull'autostrada del sole (quando si dice l'ironia…) nel tratto fra Firenze e Bologna che, non a torto, è considerato tra i più pericolosi di tutta Italia anche in pieno giorno, figuriamoci di notte con le intemperie! Stavo approssimandomi al capoluogo emiliano ed ormai la resistenza fisica era ridotta al lumicino, gli occhi mi si chiudevano per la stanchezza anche se la tensione avrebbe dovuto tenermi desto. Reputai cosa giusta e salutare fermarmi e riposarmi, ma poiché non vedevo alcun autogrill nei dintorni ed ad ogni modo avevo necessità di dormire in un comodo letto, uscii al più vicino casello nella speranza di trovare un albergo dove rifocillarmi e distendere le mie stanche membra. Guidai ancora non so per quanti chilometri senza trovare nulla, non sapevo neanche dov'ero perché il buio e la pioggia m'impedivano anche di leggere i cartelli direzionali. Vagai per un po' senza una meta precisa fino a quando l'insegna luminosa di una locanda attirò la mia attenzione. Arrestai l'auto a pochi metri dall'ingresso e mi diressi all'entrata correndo sotto il diluvio, giusto in tempo per bagnarmi come un pulcino nonostante il breve tragitto. La prima impressione quando aprii la porta fu d'essere catapultato in un'altra epoca: era uno di quei locali che non si trovano più al giorno d'oggi, soprattutto nelle città o sulle grandi direttive e anche chi viaggia spesso come me, molto difficilmente gli capita d'incontrare. Un'unica sala faceva da bar, trattoria e reception dove due anziani coniugi, che scoprii come i proprietari, affittavano le stanze e prendevano le prenotazioni per la cena. Mi accordai con loro per entrambe le cose e mi accomodai esausto ad un tavolino in attesa di sbranare le tagliatelle che avevo appena ordinato, attorniato da pochi avventori che avevano l'aria di essere degli "habitué" intenti a tracannare bicchieri di vino in quantità industriale. Mi concentrai sul fumante piatto che mi fu servito quasi subito e in quel momento null'altro esisteva se non le abbondanti forchettate che mi riempivano la bocca, scendendo gorgogliando nel mio stomaco, infondendomi un senso di benessere e calore e rilassando tutto il mio essere. Se fosse apparsa davanti a me Megan Gale in persona seminuda facendo la danza del ventre probabilmente non ci avrei fatto caso, nondimeno non mi sfuggirono le occhiate divertite che provenivano da un tavolo vicino al mio. La persona che mi guardava e di cui non mi ero per niente accorto era una ragazza bionda, molto avvenente che indossava un pullover di lana aderente che faceva risaltare le sue forme procaci. "Abbiamo fame, eh?" disse rivolgendosi a me con un sorriso. Mi resi conto che dovevo essermi tuffato nel piatto con una voracità e probabilmente con una rumorosità pari a quella di un lupo siberiano a digiuno da più d'un mese. "Beh, in effetti….." Risposi bofonchiando a bocca piena, abbastanza imbarazzato e poi dopo aver deglutito il boccone, continuai in un italiano più comprensibile: "Le chiedo scusa se le sono apparso come un ruminante, ma per dirla in breve ero stanco, affamato, stressato, nervoso e non so più cosa." Proruppe in una risata argentina che risuonò in tutto il locale, mostrando una perfetta fila di denti bianchi. "Ma no! Che cosa dice? Non si era affatto capito! A dir la verità quando è entrato sembrava che avesse fatto un giro sotto le spazzole di un autolavaggio!" La battuta era stata detta con la tipica cadenza emiliana che sempre mi è stata simpatica. A quel punto fui io a ridere di gusto. Ricomponendomi e cercando di darmi un tono più serioso, la invitai al mio tavolo, giacché la stanchezza era stata fugata da quel siparietto. Lei accettò di buon grado e così ci presentammo. Si chiamava Gisa Ferramonti. Con un po' di perplessità le feci presente che mai avevo sentito quel nome: Lisa, Gisella, ma mai Gisa. Ridendo, mi disse che in realtà si chiamava Adalgisa, in omaggio a sua nonna, ma non aveva mai sopportato quel nome impostole e così si faceva chiamare Gisa. Fu l'inizio di una serata piacevolissima. Gisa era una ragazza straordinariamente simpatica nonché intelligente. Chiacchierammo a perdifiato e ridemmo tantissimo grazie anche al vino che scorse in abbondanza innaffiando gustosi salami e prelibati formaggi locali. Fu naturale darsi del "tu" specie quando le barzellette che ci stavamo raccontando cominciarono a farsi spinte. Si era fatto molto tardi e praticamente eravamo rimasti soli nel locale. Salimmo insieme le scale che portavano alle stanze ed arrivò il momento del commiato. "Gisa, grazie della magnifica serata! " Le dissi, "Passa una buona notte." "Sei sicuro di volermela far passare da sola?" La sua frase, pronunciata con voce ammiccante mentre si avvicinava a me con movimento sinuoso, fissandomi dritto negli occhi, mi colse completamente di sorpresa. "Ehm, ….Gisa, sei sicura di quello che dici?" la mia voce si fece roca. " Non sarà effetto del vino?" "No, no!" scosse dolcemente la testa mentre mi abbracciava, cominciando a darmi dei piccoli baci sulle guance. "Gisa" la mia pressione stava salendo vertiginosamente "Sei così bella, così giovane, mentre io……". "Mentre tu?" "Mentre io, non lo sono più tanto!" "Sciocco" disse, stringendosi ancora più a me e sussurandomi nell'orecchio " Sono un'appassionata d'antiquariato!" Le mie remore caddero completamente. Fu una notte d'amore stupenda. Ci amammo teneramente, passionalmente, ma la cosa più bella che il tutto era inframmezzato da battute reciproche che, complice l'euforia, ci facevano sganasciare dal ridere. Prima d'addormentarci, mi disse: "Sai la cosa che mi piace più di te?" "No, dimmela ti prego!" Sentivo la mia vanità maschile crescere a dismisura. " I miei occhi, il mio viso, il mio corpo?" aggiunsi con tono mellifluo alla George Clooney. "Niente di tutto questo!" rispose lei decisa "La tua catenina!" "LA MIA CATENINA??" non sapevo se essere più sorpreso, deluso o divertito. "Si, quel girocollo sottile d'argento. Me lo regali?" " Ah, quello? Ma è una cosa di poco valore anche se ci sono tanto affezionato!" "Dai, patacca, non fare il pidocchio, regalamela!" "E va bene, se proprio insisti", me la tolsi dal collo e gliela porsi, dopodiché ci addormentammo. Il sole del mattino, filtrava attraverso le persiane, destandomi dal sonno profondo nel quale ero piombato. Cercai tastoni il corpo di Gisa ma non lo trovai. Mi alzai sbadigliando convinto di trovarla in bagno ma neanche lì c'era. Pensai fosse scesa a fare colazione e mi riproposi di raggiungerla, dopo essermi lavato e rasato. Scesi da basso, ma né ai tavolini né al bancone del bar la vidi. Una strana inquietudine cominciava a serpeggiare in me. "Che se ne sia andata in questo modo, senza neanche salutarmi?" Mi avvicinai alla padrona della locanda, chiedendole il conto e poi con molta noncuranza le chiesi: "Ehm…Signora, non ha mica visto la ragazza che stava con me ieri sera?" "PREGO?", mi rispose la donna fissandomi con occhi di colmi di sorpresa. “Dicevo…..se ha visto la ragazza, si ricorda vero?, quella biondina che ha cenato con me ieri sera?” Mi scrutò con maggiore attenzione e mi parlò in un tono che era un miscuglio d'ironia, preoccupazione e malcelato allarme. "Mi scusi, signore, ma Lei ieri sera ha cenato completamente solo. Devo dire che ha fatto molto onore alla nostra pasta nonché ai salumi, formaggi e…..soprattutto al vino." L'ultima frase era chiaramente allusiva. "Le ripeto che ieri sera ero in compagnia di una ragazza e non ero affatto ubriaco!" Cominciavo ad irritarmi. "Certo, certo…" mi rispose con accentuato sarcasmo per poi proseguire nello stesso tono." Giusto per la cronaca, come si chiamerebbe questa fanciulla?" Sa, qui viene in maggioranza gente del luogo e forestieri come Lei se ne vedono ben pochi." "Gisa…..Adalgisa Ferramonti." Il volto della donna si fece cupo ed indagatore. "Non so chi Le abbia dato quel nome o chi né gliene abbia parlato, ma se vuole saperlo c'è stata solo una ragazza con quel nome, la figlia dei proprietari del podere che sta ad un chilometro da qui." Il suo tono era adesso duro e scostante, ciò nonostante mi sentii un po' sollevato. "Mi dice come faccio a raggiungerlo?" "Se cerca la Gisa, Le servirà a ben poco. E' morta tre anni fa!" "COSA!!!!MA NON E' POSSIBILE" Quasi urlai. "Certo che lo è! Povera Gisa, ebbe un incidente con la moto proprio qui vicino, in una notte di pioggia come quella passata. Proprio in questi giorni ricorre l'anniversario. Che pena, una ragazza sempre allegra, sempre con la voglia di ridere e scherzare!". Disse con una sfumatura di dolcezza. "Ma se Le ho parlato e….." Non era il caso di raccontare il seguito. "Signore, è come Le dico. Non insista e se non mi crede vada al cimitero del paese: è abbastanza piccolo e la troverà facilmente. Per il conto sono ottantamila, camera e cena. Il vino lo offre la casa." Il suo tono riprese ad essere piuttosto secco. Era un chiaro invito ad andarsene. Seguii il suo consiglio e non insistetti. Passai una mano sul collo e non avvertii la presenza della catenina: quindi non potevo aver sognato tutto! Uscii dalla locanda sotto lo sguardo severo della padrona e mi diressi con una certa ansietà al cimitero. Girai fra le poche tombe per un po' sino a quando non la vidi. La fotografia sulla lapide mostrava Gisa mentre rideva: i capelli, gli occhi erano i suoi, non c'erano dubbi era proprio lei. Sotto la foto una scritta incisa sul marmo: ADALGISA FERRAMONTI 1976 - 1998. La mia attenzione fu attirata da qualcosa che luccicava vicino al vaso dei fiori Presi quell'oggetto già sapendo di che cosa si trattava: era infatti la mia catenina! Mi trovavo nel bel mezzo di una cosiddetta leggenda metropolitana o nella replica dei telefilm di tanti anni fa della serie "Ai confini della realtà". Me la rimisi al collo con naturalezza anche se il cuore mi batteva forte per l'emozione: mi sentivo ovviamente confuso, ma non cercai nessuna spiegazione all'accaduto: perché mai dobbiamo trovarne sempre una? Qual è mai il confine fra reale e surreale, fra normale e paranormale? Chi aveva vissuto in un'altra dimensione quella notte Gisa ed io o la padrona della locanda e quei poche avventori che non si erano accorti di nulla?. Probabilmente nell’anniversario della sua prematura scomparsa, il suo fantasma ricompariva in carne ed ossa per dare libero sfogo alla sua insaziabile voglia di godere la vita e manifestare tutta la sua rabbia ed il suo dolore per essere stata costretta ad andarsene così in fretta e lo faceva nell’unico modo da lei conosciuto: amando e divertendosi. Probabilmente l’anno prima era toccato a qualche altro forestiero e l’anno prossimo sarebbe toccato a qualcun altro il privilegio di passare una notte in sua compagnia. Probabilmente era stata lei a far sì che io trovassi quella locanda. Chissà? Comunque erano dubbi troppo difficili da risolvere, soprattutto di mattino presto. Mi restava in ogni caso lo splendido ricordo dei momenti trascorsi con lei. Guardai in alto il cielo: il sole splendeva alto dopo il diluvio della notte ma grosse nubi si delineavano minacciosamente all'orizzonte. Era meglio tornare a casa prima che riprendesse a piovere. Respirai a fondo l'aria frizzante, mandai un ultimo bacio a Gisa sulle punta delle dita e m'incamminai verso l'auto.
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