Illuminato e scosso
dai miei versi stanchi
agiti il vento e muovi
oltre il giardino.
Seguo il tuo passo,
ti cerco fra le parole come rive verdi,
rotolate allo scoccare
del plenilunio ansioso
che trasfigura
l’immagine cercata sopra il ricalco
di un cuore nuovo,
alleggerito e forte,
inorgoglito dal tuo parlare tenue
che mi colora gli occhi in un pastello acceso,
vibrante in suono acuto sulla notte.
Sei tu, allora,
che mi hai toccato l’abito sparito,
sei tu che hai sentito con le dita
che a gelare son solo le promesse
di inesistenti inviti
ad albe corte,
quando è ghiaccio rivoltato il mio chiamare,
quando è noto appena un volto rimboccato
tra le coperte vetrose alle mie nebbie.
Eri tu, lontano, sopra un mantello
di attenzioni che mietevano gli ingressi
alla mia corte di leccornie polverose,
gettate a caso su tappeti e carte,
che con gentile precisione hai colorato.
Pittore dei miei sogni sortilegi,
hai navigato con la tua barca colma,
scricchiolando le mie lentiggini di stelle
sulla chiglia nodosa del tuo sguardo,
camminando oltre il guado,
bevendo forte,
tutta l’acqua di fontane che cantavano,
e l’hai versata sopra i miei piedi scalzi,
senza la consuetudine dell’asfalto,
senza la paura dell’affondare,
con la penna e con il dolce istinto
del rintocco
di una cera di candela assorta.
Illuminato e vivo,
oltre i miei versi stanchi,
agiti il tempo misterioso
del mio giardino.

Ed è il tuo andare dolce che mi placa.