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Renato Attolini
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Inserito - 29/02/2004 :  17:59:30  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Renato Attolini Invia un Messaggio Privato a Renato Attolini
CITAZIONI E FUGA.

Le scale che conducono fuori della metropolitana mi sembrano il tragitto per il patibolo. Sono le otto del mattino e mi sento già mortalmente stanco. Ho la testa che rimbomba ancora delle petulanti chiacchiere che anatre starnazzanti che qualcuno insiste ancora nel definire esseri umani mi hanno sparato nelle orecchie in un affollato treno di pendolari. Cammino con passo svogliato nella "Grande Mela" versione italiana che anche oggi mi dà il benvenuto offrendomi le sue strade piene d'escrementi di cani che grazie ad un collaudato allenamento, schivo con abili scarti a destra e sinistra. Mi affaccio da un ponte sul Naviglio e guardo quello che dovrebbe essere un caratteristico fiume che attraversa un pittoresco quartiere e scopro come sempre un ricettacolo d'ogni genere di rifiuti che si snoda fra case vecchie e cadenti imbrattate di scritte spesso incomprensibili. Mi affretto, il tempo stringe e devo "andare a rendermi utile a chi nemmeno so chi è" (canzone dei Pooh di circa quindici anni fa). La giornata in ufficio scorre piatta in perfetta sintonia come quelle passate e le future. Tanta gente che va, che viene, telefona, chiede, esige, impreca, minaccia. Parlo con una signora al telefono e mi viene in mente Shakespeare: "Fragilità, il tuo nome è donna!" ("Amleto", almeno credo) che trasformo, mentre ascolto, in "Acidità, il tuo nome è donna!". A ben guardare, gli uomini non è che siano migliori, anzi, te li raccomando!
Scorre il tempo e m'immedesimo nel libro "La nausea" di Jean Paul Sartre. Finalmente è ora di tornare a casa, ma perché non mi sento contento? Non me la sento di andare a piedi, decido di prendere il bus, dovrebbe arrivare a minuti. Ne passano venticinque, rischio di perdere il treno. Il metrò per fortuna è puntuale, arrivo trafelato in stazione col cuore in gola: il treno è lì fermo, ce l'ho fatta, per che cosa poi? Salgo su e ammiro il trionfo dell'imbecillità: quasi tutti che parlano al telefonino, incuranti di far sapere a chi sta vicino i fatti propri, ridendo o tubando come se stessero conversando con una persona reale. I trilli si susseguono uno dietro l'altro in un crescendo assordante di sinfonie una diversa dall'altra: difficile stabilire quale sia la più assurda. Non ce la faccio più, la testa mi gira. Squilla anche il mio lo prendo e non guardo chi mi sta chiamando: lo scaravento per terra, urlando. Vedo volare i pezzi in aria al rallentatore: sembra la scena finale di "Zabriskie Point" di Michelangelo Antonioni. La gente mi guarda solo un po’ spaventata, più che altro perplessa, pare dire con indifferenza: "Se ne vedono di tutti i colori al giorno d'oggi". Due ragazze bisbigliano fra loro, ma io le sento: "Un altro matto!". Le guardo e con un sorriso dico loro: "E' vero, sono pazzo, ma per quelli come me Erasmo Da Rotterdam, che sicuramente non conoscete, ha scritto un elogio!". Scendo dal treno e mi sento più leggero. Ray Company Segundo sta invitandomi a raggiungerlo a Cuba, sorridendomi da un poster. Canticchio la canzone di Baglioni (…e andare lontano, lontaaaaanoooo) e penso a quel vecchio nel cartellone, morto da non molto, che a novant'anni suonati, cantava beveva, fumava e dichiarava in un'intervista nel film-documentario "Buena Vista Social Club" che non gli sarebbe dispiaciuto un altro figlio. Prendo la decisione: mi dirigo al " Malpensa Express" che mi porterà all'aeroporto. Sto pensando all'elogio della fuga di Gabriele Salvatores al termine di "Mediterraneo". Domani sarò in un'isola piena di problemi e di gente povera, ma ricca di sole, d'allegria e di voglia di vivere. Adios!


   
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