Uscì dallo studio sbalordita. In che modo glielo aveva detto, con quale superficialità.
Quando aveva preso l’appuntamento immaginava che dopo una cura avrebbe potuto liberarsi del fastidio dell’assorbente e dell’eritema che era comparso.
Tre mesi di mestruazioni... non avrebbe mai pensato che la soluzione sarebbe stata quella : "Isterectomia", e dietro quella diagnosi riconobbe un atto di potere da parte del medico, uno stato di sottomissione che un uomo non avrebbe mai provato.
Si ritrovò nel traffico delle diciassette senza sapere come. Non ricordava nulla del tragitto fatto dallo studio all’auto, presa dal turbinio di pensieri che la terapia consigliatale le aveva provocato. "Terapia" come se la MENOpausa fosse una malattia da curare.
"Capita" le aveva detto il ginecologo "alla sua età è frequente. Ma stia tranquilla, sono talmente tante le donne che si sottopongono all’isterectomia che ormai è diventato un intervento semplice come asportare un’appendice".
E lei intanto pensava che essere privata dell’utero e delle ovaie era qualcosa di diverso di una semplice operazione di appendicite. Non seppe reagire di fronte a quel "giudice" che la stava condannando senza processo e che le andava elencando gli innumerevoli disagi che la menopausa le avrebbe comportato.
Tutto il discorso aveva i caratteri della inesorabilità. Adesso avrebbe dovuto fare i conti con la menopausa. MENO pausa.
"Stia tranquilla, signora. La medicina ha fatto passi da gigante per aiutare le donne a superare i disagi che la menopausa comporta" aveva detto il ginecologo e lei pensò che le donne avevano fatto un gigantesco passo indietro : affrontare una condizione naturale rimettendosi a rimedi innaturali.
Sentiva la rabbia montarle dentro e sapeva che non le avrebbe fatto bene. Aveva bisogno di energie che al momento non sentiva di avere.
Avrebbe dovuto affrontare qualcosa di più grande di lei, accettarla, rassegnarsi ai suoi umori e questo significava stare... all’erta, essere... all’altezza, essere... forti. E lei dubitava di esserlo ancora.
Avrebbe voluto qualcuno che si occupasse di lei. Qualcuno che la coccolasse, che si assumesse le responsabilità al suo posto. Almeno per un po’ ! Si sentiva debole e fiacca.
Aveva cercato di raggiungere la perfezione accentrando tutto il lavoro e le preoccupazioni, aveva fatto a meno di delegare e adesso sentiva le proprie forze venirle meno.
Iniziava a piovere. Il mare era diventato scuro e gonfio e all’orizzonte le isole del golfo avevano i contorni nitidi e sembrava quasi di poterle afferrare allungando un braccio.
Si carezzò la pancia mentre si avvicinava allo svincolo della tangenziale. Quasi senza rendersene conto prese la direzione del mare. Scendeva una pioggia leggera e dritta. L’aria non era fredda e la spiaggia con la pioggia la rasserenava.
Un malessere sordo di tanto in tanto le provocava un brivido, un freddo che proveniva dall’interno. Di nuovo la carezza sulla pancia quasi ad assicurarsi di essere ancora integra. Ancora per qualche settimana… per poi essere definitivamente MENOmata.
Ecco l’aveva detta la parola. Non era come togliere le tonsille, l’appendice o la tiroide. Non era lo stesso. Quell’intervento le avrebbe cambiato in toto la vita.
Cambiata la vita.
Con questi pensieri era arrivata sul lungomare, sul quale si affacciavano i lidi aperti tutto l’anno.
Parcheggiò l’auto sulla strada. La pioggia era cessata e c’era un buon profumo di salsedine.
Isterectomia. Parola che rievocava l’isteria, malattia anche questa tutta femminile. Si accese una sigaretta e aspirò con rabbia mentre le ronzava fastidiosamente nella testa quella parola dal suono così poco rassicurante.
Si inoltrò in uno dei viottoli che portavano alle villette interne.
Lungo il sentiero fangoso non c’erano più i cespugli che un tempo crescevano rigogliosi di menta e di rosmarino. Davanti la casa non più allori e teste di coccio carichi di basilico.
Intorno l’abbandono.
Entrò nella casa che l’aveva vista crescere. Gli ambienti erano ancora impreganti degli aromi che la nonna era solita usare per profumare la biancheria. Da anni non metteva più piede in quella casa, da quando aveva trovato il corpo senza vita della nonna sul grande letto dalle lenzuola candide. Ma la sensazione non fu quella della perdita, bensì del ritrovare qualcosa che pensava di aver perduto quando vide nella credenza, come su una ribalta, i barattoli di erbe che la nonna metteva da parte. Ogni barattolo un nome e dentro alcune foglie sistemate come pagine di un libro.
Alloro, salvia, origano, basilico, alchemilla. Andava impregnandosi di una carica di energia nuova. "Cara la mia bambina, devi saper riconoscere quando il male è dentro o fuori di te. Non devi mai credere di non farcela, ma se ti senti un po’ stanca, allora affidati alla natura. I mali puoi sconfiggerli soltanto se lo vuoi veramente. Se proprio pensi di non farcela allora preparati un infuso e vedrai che la montagna diventerà una collinetta." E intanto metteva su la tisaniera, mentre con dita delicate tirava fuori dal barattolo qualche foglia.
Nonostante la voce della nonna tornata prepotente alla memoria, altri pensieri oscuravano quella presenza rassicurante.
"La fiducia è un atto di intelligenza" le aveva detto un amico. Ma a lei sembrava molto più un atto di coraggio. Quel ginecologo che aveva curato il suo corpo di adolescente, aveva seguito le sue due gravidanze e di cui si era fidata ciecamente era la stessa persona che le aveva sputato senza alcuna umanità quella sentenza sul viso, come un tecnico alle prese con una macchina che non va più bene. Si asporta, si elimina. Ma lei non era un automa.
Lo aveva dimenticato il medico ? La troppa competenza lo aveva reso un esperto insensibile ? Stentava a credere che quello stesso medico con fredda reattività le annunciava un tale evento.
Non era più un’adolescente, ma adesso si trovava di fronte a un’esperienza al pari dei primi rapporti sessuali e della prima gravidanza.
Si sentì come un cencio da rappezzare ancora per un po’ mentre poi sarebbe stato inutile anche il rammendo.
Intanto la tisana era pronta. La bevve sul balcone. In lontananza le note di una canzone di Elton John. Ancora una strizzata alla stomaco. Fu colta dall’impossibilità di poter più nutrire ancora speranze. Solo qualche settimana e tutto sarebbe mutato.
"NON VOGLIO.... NON VOGLIO" sentì il suo urlo rimbalzare contro l’orizzonte. La sua voce tuffarsi dentro il mare. Quel grande utero pieno di vita.
"Perché hai tanta paura della menopausa ?" le aveva chiesto il marito.
"Ho paura che non mi sopporterai. Ho paura di diventare vecchia"
E scoppiò in un pianto imprevisto.
Di fronte al mare e alla fragranza della debole brezza pianse ancora e non si vergognò di quella debolezza, di quell’espressione che credeva fosse un sintomo di vigliaccheria. Di fronte alle increspature di quella distesa liquida si accoccolò sulla sedia che era stata della nonna e in posizione fetale si abbracciò e per la prima volta si accettò interamente, compiutamente, per sè stessa senza pensare a sé come un’ immagine sulla scena.
Aveva ragione l’amica, bisognava cogliere il lato buono di tutte le cose. Non avrebbe scoperto, per esempio se non si fosse sentita così fragile, di quanto fosse veramente vivificante un infuso di menta. Profumo inebriante e sapore deciso.
Quella sera al rientro il marito le mise un piccolo involto sul tavolo della cucina . Lo scartò e scoprì delle erbe essiccate.
"Che ne sai delle erbe tu ?" gli chiese con sospetto.
"Ti ricordi di quell’incontro con quella scrittrice qualche anno fa ? Aveva parlato della manopausa e aveva detto che non aveva niente di privativo, che molti dei disturbi erano legati anche a uno stile di vita errato."
Si sentì ferita. Lui aveva ricordato qualcosa che lei aveva stupidamente dimenticato.
"E chi ti dice che andrò in MENOpausa. Può darsi che le cose vadano diversamente"
Lei aveva pronunciato la frase con l’aggressività propria della paura, ma si rese conto che lui aveva dedicato i propri pensieri per meglio venirle incontro.
Si abbracciarono con un desiderio rinnovato. Ritrovato uno slancio che la quotidianità aveva messo in un cantuccio e che la MENOpausa aveva fatto riemergere come la bassa marea fa riaffiorare la base di uno scoglio.
L’intervento richiese l’asportazione del solo utero, le ovaie, funzionanti, avrebbero espletato la loro funzione fino a quando la natura avrebbe loro concesso. La MENOpausa, almeno per il momento, era ancora lontana. Ma si sarebbe preparata ad affrontarla senza più paure. Avrebbe imparato a sentire il proprio corpo, i segnali che le avrebbe inviato e soprattutto avrebbe rallentato il ritmo della sua giornata concedendosi il tempo di sentire i propri pensieri, magari con una tisana alla menta.
Stefania pagano
stefania pagano