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Renato Attolini
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Inserito - 30/03/2004 :  00:37:27  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Renato Attolini Invia un Messaggio Privato a Renato Attolini
A mio modesto avviso uno dei pochi motivi validi per usare l’auto, anziché i mezzi pubblici, è la piacevole compagnia regalataci dalla radio. Quella mattina ero diretto come sempre al lavoro verso il capoluogo lombardo e, contrariamente al solito, avevo preso la macchina infilandomi nel consueto traffico e nelle quotidiane interminabili code che bloccano, un giorno sì e l’altro pure, l’Autostrada dei Laghi. Mi ero concentrato, inevitabilmente, su quanto trasmetteva l’emittente radiofonica da me preferita, ascoltando le facezie del conduttore, l’insopportabile ed odiosissima, sia pur necessaria, pubblicità di mercatoni del mobile e centri commerciali nonché la musica di vario genere. Ad un certo punto andò in onda un pezzo di Cat Stevens risalente agli anni ’70 dal titolo “Wild World” e come spesso mi accade, se il brano “mi prende”, cominciai a cantare anch’io, prima in sottofondo poi sempre più forte e quando esplose il ritornello:
“Oh, Baby, Baby, it’s a wild world
It’s hard to get by just upon a smile
Oh Baby, Baby it’s a wild world
I’ll always remember you like a child, girl”,
la mia voce sovrastava completamente quella del cantante. Incurante degli sguardi di compatimento che provenivano dalle altre automobili, continuavo ad urlare, battendo il tempo con le mani sul volante. Quanti ricordi evocò in me quella canzone! I “favolosi” anni ’70! Mi vennero in mente i pub e le birrerie intorno alla Place Dam d’Amsterdam, luoghi d’incontro e ritrovo dei ventenni d’allora di tutto il mondo, dove fra nuvole di fumo, che non sempre scaturivano dalle sigarette tradizionali, questa musica insieme a quella dei “Deep Purple”, dei “Pink Floyd”, dei “Led Zeppelin” faceva da contorno a serate passate a chiacchierare, a discutere e cercare di risolvere i problemi universali. Erano i tempi della “contestazione globale”, della “Immaginazione al Potere”, del “Vogliamo tutto e subito!”. Quanta nostalgia! Mi sorpresi a sorridere fra me osservando il mio abito blu con camicia e cravatta intonate e pensando a quanto fossi cambiato in tutto questo tempo. Pur non rinnegando nulla del mio passato, mi prese una certa tenerezza nel ricordare quel radicale estremista intollerante che aveva lasciato spazio poco a poco ad un’altra persona, più matura ovviamente, più riflessiva, più aperta alle idee altrui e che addirittura aveva capovolto alcune sue posizioni. Cose che sono capitate a tanti, credo, e comunque era soprattutto lo struggente ricordo della mia giovinezza ad avere il sopravvento piuttosto che gli avvenimenti d’allora ed a farmi desiderare intensamente di ritornare a quell’epoca.
Intanto il traffico sembrava meno intenso e le autovetture ripresero la loro andatura sostenuta. Superata la barriera, cercai d’addentrarmi nella città fra clacson assordanti e i volti paonazzi, stravolti dall’ira degli automobilisti, quando all’improvviso dovetti inchiodare precipitosamente. Una nebbia fitta che da tempo immemore non si vedeva aveva invaso le strade ed affermare che non si vedeva ad un palmo del naso, sembrava fosse quasi un eufemismo. Un silenzio irreale era sceso intorno a me ed ero sinceramente preoccupato perché non ero abituato a guidare in quelle condizioni. Procedetti molto ma molto lentamente, sperando nella buona sorte, quando avvertii un tonfo dietro di me.
“Acc…!” Imprecai “Qualcuno mi ha tamponato.” Non n’ero del tutto sicuro, però. La nebbia cominciò a diradarsi ed in quel mentre altri scoppi risuonarono nei miei pressi. La visibilità era ancora precaria ma qualcosa cominciava ad intravedersi. Fu allora che vidi gente che correva in tutte le direzioni come impazzita e dei cartelli con scritte tipo “Peace” e “Yankee Go Home!” cadevano per terra e venivano calpestati da centinaia di piedi. Una seconda ed irripetibile imprecazione mi salì alle labbra: “Ma pensa te se dovevo imbattermi in una manifestazione pacifista neanche preannunciata! E ora che faccio?” mi chiesi allarmato. Adesso avevo capito cosa fossero quei tonfi: erano candelotti lacrimogeni! Nonostante la tensione fui attirato da un cartello che riportava una scritta a dir poco strana: “Stop the war in Vietnam!”.
“Tu guarda quell’imbesuito!” mi dissi “L’avrà trovato in cantina abbandonato da suo padre e l’ha rispolverato dimenticandosi d’aggiornarlo.”
“Uhé, ciccio!” volevo gridargli “Va che la guerra adesso è in Iraq!”. Non feci in tempo a formulare quel pensiero che la portiera di destra della mia auto s’aprì di colpo e qualcuno si sedette affannosamente accanto a me. Lo guardai allibito: era un giovane, capelli lunghi fino alle spalle, barbetta appena accennata ed indossava un “eskimo” verde.
“VAI!” mi urlò “ANDIAMO VIA DI QUI!” La sua voce era spaventata quasi isterica. Nonostante la sorpresa cercai di mantenere la calma.
“Senti, caro” gli dissi pacatamente “Non ho nessuna intenzione di finire nei pasticci a causa tua. Non so neanche chi sei, per cui, fammi il favore, scendi e fila via!”
“Non me ne frega un c…se mi conosci o no, togliti da qua alla svelta!” sbraitò e poi proseguì quasi piagnucolando:
“Non ho fatto nulla, ero insieme ad altri, stavamo tranquillamente manifestando quando ci hanno caricato. Ho paura, scappiamo, MUOVITI!”
“Ascolta, adesso è a me che non me ne frega un..di quello che hai detto tu se eri tranquillo o meno, ti ripeto che non voglio assolutamente rogne!” cominciavo ad innervosirmi, ma quello manco mi sentiva tant’era agitato.
La situazione era decisamente imbarazzante. Dovevo comunque levarmi da quell’impiccio e le cose attorno a me si facevano alquanto pesanti. Gli scontri proseguivano senz’esclusione di colpi ed il fumo acre dei gas cominciava a togliermi il respiro. Partii di scatto, sgommando, cercando di evitare ostacoli e persone e pareva proprio che ce l’avessi fatta quando una camionetta della polizia si mise di traverso bloccandomi. Uscirono velocemente degli agenti, due di loro si affiancarono a me ed uno di questi mi gridò:
“Scendi svelto con le mani in alto!”
<Ecco, ci siamo> pensai affranto, per colpa di quest’esagitato che mi sta a fianco passerò dei guai. Inoltre ero anche abbastanza infastidito, perché nonostante abbia sempre privilegiato, quando le circostanze lo permettevano, il “Tu” rispetto al “Lei” indipendentemente dall’età e dalla professione del mio interlocutore, nondimeno in quel caso mi risentii per il modo poco formale col quale mi si stavano rivolgendo.
Feci buon viso a cattivo gioco, uscendo a mani alzate e con tono conciliante mi rivolsi al poliziotto.
“Ascolti, agente, non è colpa mia se quel pazzo che vede nella mia auto vi s’è infilato di prepotenza”
“Zitto e non fare storie!” mi rispose bruscamente. Adesso stava veramente esagerando. Avrei sicuramente scritto una lettera di protesta alla Questura. “Eppoi” continuò ironicamente “qui di pazzo ne vedo uno solo e sei tu!”
“Ma cosa sta dicendo? Non lo vede quel ragazzo sul sedile di destra?”
“No, mi spiace, non lo vedo proprio!” replicò quasi ridendo.
<Maledetto!> pensai, se l’è squagliata, ma forse è meglio così, sarà più facile dimostrare la mia estraneità.
Intanto un poliziotto nella camionetta stava comunicando con qualcuno:
“Centrale, centrale, ne abbiamo beccato un altro, adesso ve lo portiamo!”
Ero furioso ed anche molto spaventato.
“Ma come <beccato un altro>, ma per chi m’avete preso?”
L’agente mi guardò un po’ sorpreso e poi con molto sarcasmo mi disse:
“Per un commendatore appena uscito dal Rotary Club, no? Per chi diavolo dobbiamo averti preso se non per uno dei partecipanti alla manifestazione, furbastro! Per cos’era, per la guerra in Vietnam o sbaglio? O forse lo neghi? Dai su, negalo, tanto fan tutti così quando li prendiamo. Prima spaccano il mondo e poi appena presi: <No, io non c’entro, passavo qui per caso>” le ultime parole furono scimmiottate con un effetto che in un altro momento sarebbe risultato comico. Non in quel momento però!
Sbottai.
“MA E’ IMPAZZITO? La guerra del Vietnam è finita nel 1975!”
Guardò perplesso in faccia il suo collega che sgranò gli occhi.
“Questo o è scemo o lo fa, oppure s’è fumato un intera piantagione di canapa indiana. Comunque una denuncia per <oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale> non gliela leva nessuno” e poi con tono falsamente comprensivo e mettendomi una mano sulla spalla aggiunse:
“C’è una novità per te. Forse quella guerra finirà anche fra tre anni, ma adesso siamo nel 1972 se ancora non lo sai o fai finta di non saperlo.”
“Oh, questa è bella! Ma siete poliziotti veri o siamo su <Scherzi a parte>? Nel 1972? Ci sarebbe da ridere a raccontarla! Ma mi state prendendo in giro?” e poi, facendo io stavolta l’ironico, continuai:
“Vedete la mia auto? Vi sembra una degli anni ’70? Ed il mio abbigliamento vi sembra quello d’un sovversivo?”
“A prescindere dal fatto che non sappiamo cosa sia <Scherzi a parte>, la tua auto cos’avrebbe di tanto strano? Per quanto riguarda il tuo abbigliamento ti abbiamo fermato anche per quello! Ci avevi insospettiti!”
Guardai la mia auto nuova, comprata un anno prima, ultimo modello dotata di tutti i confort e <full optional>. Al suo posto c’era una vecchia <Due Cavalli> rossa e malmessa. Nel vetro un po’ sporco mirai la mia immagine: non v’era riflesso un distinto signore ben vestito di mezz’età con molti “fili” argentati in testa bensì un giovane “capellone” in maglione e jeans sdruciti.
“No, non è possibile!” balbettai sconvolto.
“Adesso basta! Abbiamo perso anche fin troppo tempo, portiamolo via!” ringhiò sbrigativamente l’agente e mi trascinò verso la camionetta. Ero completamente inebetito ma riuscii comunque a sentire quello che diceva rivolto ad un collega:
“Certo che ha una bella fantasia! Di scuse ne tirano fuori tante per scagionarsi, ma questa le batte tutte!”

   
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