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 STORIA DI UN PARTO
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Amorina
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Inserito - 01/05/2004 :  16:27:01  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Amorina Invia un Messaggio Privato a Amorina
Ricordo bene l'emozione di sapermi prossima madre, dalle bambole ad un bambino vero, mio, solo mio. L'età? Sedici anni. Ti ritrovi a sognare una vita che hai vissuto mille volte giocando con le amiche. Io sono la mamma tu il papà e Alessandra il dottore. Dottore, mia moglie sta per avere un bambino! E allora pezzi di stoffa e bacinelle che dovevano esser piene d'acqua(non capivo il perchè ma ci volevano, diceva il "dottore")Una coperta a celare il tutto e il dottore ,armeggiando per un attimo, faceva uscire cicciobello! Io ero sempre la mamma. Sin dalla più tenera età, io volevo fare la mamma. C'ero riuscita a sedici anni, felice come una pasqua, incosciente come solo una ragazzina sa esserlo. L'incontro con la realtà dell'ospedale, di primo acchito mi divertì:ero la bambina del reparto, curiosi che venivano ad occhieggiare alla mia porta, io che mi sentivo grande.
La notte prima dell'inizio di tutto, la passai con la puericultrice , che mi fece vedere quanti piccoli ragnetti che vagivano erano nella nursery. Li maneggiava con cura ma in fretta, avevo paura si rompessero, o cadessero . Guardavo, ero come un'estranea, vedevo i bambini degli altri come se la cosa non mi riguardasse. Mi sentivo un'ospite privilegiata che poteva accedere in luoghi proibiti ai più.Ricordo che aiutai persino ad allungare i vestitini, i pannolini, pensando che ne avrei voluto uno anch'io. Ed ero lì per quello, ma la mia mente ancora non era entrata nel merito della questione. Mi beavo della vista di tutta quella bellezza minuscola sgambettante, rosa chiaro alcuni, più scuretti altri. Come i canarini di mia nonna, aprivano le bochhe piccolissime, come beccucci,aspettando il cibo. Ma il giorno arrivò in fretta e mentre dormivo il sonno adolescenziale, profondo, ristoratore, accesero una luce accecante e dissero una frase sinistra "allora la nostra signorina è pronta?" (Pronta a che?) In subbuglio ricordo di aver chiamato mio padre, la roccia della mia vita. Era lì, anche lui, con un'espressione mai vista sul viso. Lo vidi pochi istanti, il tempo di mettermi la sua mano sulla fronte e di farmi il segno della croce con le dita, come soleva fare anche quando partivamo per le vacanze. Luci rumori, quei neon spietati che torturavano gli occhi. La barella in ascensore, i piani, due, lentamente,rumorosamente, una sottile inquietudine.La sala travaglio mi aspettava. Quando mi dissero come si chiamava chiesi travaglio di che, era la sala parto per me, non di travaglio. Dovetti arrendermi all'evidenza dei fatti. Il mio bambino era in ritardo sulla tabella di marcia di ben quindici giorni, ed io stavo benissimo, niente doglie, niente di niente. Capii poco dopo il significato del termine usato, poichè ci stetti sette giorni.Sette lunghissimi giorni con le fleboclisi alle braccia e ai piedi, le vene del braccio nn tenevano più. Vedevo processioni di donne che ululanti entravano, prendevano posto nel lettino a fianco al mio, respiravano come dopo una lunga corsa e dopo pochi minuti entravano in sala parto esplodendo in urla tremende e uscendo con il piccolo tra le braccia. No, io non avrei urlato. C'era mio padre fuori,volevo fargli sentire che il suo soldatino era coraggioso. Avevo dolori lancinanti alla schiena continui, ma l'utero nn si dilatava. Ogni tanto mi facevano provare in sala parto, mi attaccavo alle maniglie del lettino e , in silenzio, cercavo di dare alla luce il mio bambino. Niente, mani che frugavano, strani strumenti di ferro che entravano dentro di me, teste che dicevano no. Sono passati trentatre anni ma ricordo ogni cosa, anche i visi. La notte mi veniva a fare compagnia un'amica di mia madre, ostetrica, che in tutti i modi cercava di farmi respirare "a cane" ( e mi veniva da ridere nonostante il male orrendo)e diceva "spingi prova spingi" Spinsi tanto che ad un certo punto mi venne da piangere dalla vergogna. Avevo infatti sentito un liquido copioso scendere, caldo. Oddio, pensai, me la sono fatta addosso e adesso? Erano finalmente le acque, mi spiegarono, che si erano rotte, il momento era catartico.Immediatamente portata sul lettino da parto, ricominciai la farsa dello spingi no fermati respira adesso spingi, aspetta ora ti faccio male ma un attimo ecco spingi dai su forza. Sfinita dissi la frase storica "Non lo voglio più chiamate il babbo perfavore" e lo dissi in lacrime. Quello che fecero dopo è nebuloso. Mi iniettarono qualcosa che mi fece stare bene, e si misero a corerre all'ascensore. Mi ritrovai in una sala dove mi misero una cuffia in testa, ai piedi scarpette di carta, e mi fecero entrare in sala operatoria. Lì, legata come un animale al letto, a testa in giù, mi chiesero di contare. Dissi uno, e mi svegliai con Federica di fianco, acciaccata come se un camion mi avesse investita. Avevo sempre sognato i miei parti in giardino, dove cicciobello usciva da sotto le coperte con la mamma lucida e felice. Avevo avuto la prima di tante delusioni che la vita mi avrebbe riservato. Non vidi nascere i miei figli, mai, ma li ho cresciuti, e questo basta.
   
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