frenkbull
Cittadino
Italy
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Inserito - 05/05/2004 : 15:49:18
Ci spinse con fare morbido nella camera e ci lasciammo dirigere perché non potevamo temere. Qualche minuto prima ci aveva svelato il suo mondo, quel piccolo delizioso appartamento nel quale viveva in compagnia delle sue complesse letture. L'arredo sobrio svelava una noncuranza tipicamente maschile verso le questioni della casa, ma al tempo stesso risultava funzionale alle esigenze di una persona quasi sempre fuori per lavoro. In un angolo dietro il letto faceva mostra di sé, su quello che appariva un vecchio canterano ormai cigolante, una campana di vetro con una madonna in cartapesta di cattiva fattura; il mio occhio attento aveva catturato lo sguardo inebetito di quella figura religiosa, statica e ridicola al punto da non suscitarmi alcuno slancio spirituale. Non capivo il suo entusiasmo nel condurre la nostra attenzione verso una simile proprietà: per quanto la venerazione possa considerarsi un fatto personale, la passione per quella che poteva tutt'al più essere una reliquia familiare mi restava inspiegata. D'accordo con me, il mio fido accompagnatore volgeva in basso gli angoli della bocca in una espressione vagamente sbalordita. «Dovresti spolverarla», così dissi dopo aver carezzato lentamente il vetro, sicuro di coglierlo in un riso imbarazzato. Quello era il luogo più intimo della casa, non ci restava che penetrarlo. Non mi vergogno a dirvi di non essere mai stato a mio agio in una stanza da letto come quella volta, tra il silenzioso passo del mio amico e la velata tenerezza del padrone intento a presentarci i suoi tesori. Quella coperta leggera profumava di pudicizia, quel passaggio oltre la porta sapeva di sentimento inviolato, quel nostro respirarci addosso a poca distanza aveva la purezza di un sonno infantile. A questo pensiero, mi commuovevo. Mi strinsi alla parete, ora che non parlava più nessuno; di lì a qualche secondo la luce si spense e ci trovammo immersi in un buio ormai rassicurante. «Questo è il pezzo forte», prese a sussurrarci invitandoci a guardare verso il soffitto. Un sospiro, due sospiri: lì sopra avevamo un cielo stellato, sorridente luccicante. Non c'era più il canterano della biancheria, non c'era nemmeno il fanciullo nelle braccia della madre, né tutti i ricordi o i dolori del passato. Avevamo un bisogno di fratellanza immenso più del mare di luci sopra le nostre teste, avevamo fra le costole un vento docile di primavera e nel cuore il battere impellente della gioia. Sentivo un abbraccio senza essere premuto da mani. Mi accorgevo di essere entrato in una famiglia di gesti confidenziali, in una solidarietà scandalosamente spontanea. Non volli chiedere altro. Sciolsi i lacci del ritegno antico, afferrai il segreto delle stelle, me ne rivestii. Tra me e il fido accompagnatore, c'era lui: ricordo la sua voce come uno spiffero d'aria calda fluito nel ghiaccio della solitaria apparenza. Quell'intimità l'avevo penetrata senza muovermi, senza possederne le chiavi. E viceversa.
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