alice
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Inserito - 18/05/2004 : 16:29:48
Lo chiamavano “Severino El Ciuffon” per quella sua caratteristica unica: il ciuffo rosso a forma di cavatappi alto quasi mezzo metro, lo aveva sin dalla nascita e sua madre quasi morì quando dopo il parto dolorosissimo ( il ciuffo si era messo di traverso e il bimbo non riusciva ad uscire ) glielo portarono e si accorse di quell’arnese che aveva in testa. Non era una persona molto socievole e adorava andare in bicicletta, aveva costruito una pista appositamente per coltivare la sua passione, era stato praticamente costretto a farlo, perché continuando per mesi e mesi a correre in bici intorno casa sua, aveva scavato un fosso profondo un metro e lago due, che quando pioveva in abbondanza si riempiva come un fiume, tanto che sembrava il fossato di un castello, sua madre quando si accorse dell’entità del problema cercò di dissuaderlo dal continuare, e non riuscendoci aveva tentato di togliergli dalla testa quella fissazione colpendolo con l’enorme padella che usava per cuocere le sue enormi frittate alla cipolla, ma niente era servito, la sua passione era ben radicata, tanto quanto il suo enorme ciuffo rosso. Nessun barbiere al mondo sarebbe mai riuscito ad estirpare quella spirale rossa che usciva dritta e fiera dall’insieme liscio e composto dei suoi capelli, era come se fosse il prolungamento del suo formidabile cervello da ciclista, e nessun medico avrebbe potuto spiegare e tanto meno curare quella cosa che non si sarebbe potuta definire neanche malattia. Col passare del tempo il ciuffo divenne oggetto di strampalate leggende, tanto che il semplice fatto che Severino non amasse uscire quando pioveva, divenne nella fantasia dei suoi vicini una precauzione che sua madre adottava per evitare, che il suo ciuffo attirasse i fulmini, o che la pioggia lo facesse crescere, una volta qualcuno ipotizzò perfino che la polvere del ciuffo avesse le stesse proprietà afrodisiache attribuite al corno dei rinoceronti, ma Severino non vi faceva caso, l’unica cosa a cui dedicava la sua attenzione era la sua bici e non aveva la minima intenzione di condividere con qualcuno questa sua passione, che ogni giorno assumeva sempre di più il sapore di una scelta di vita, e nonostante sapesse di essere considerato un bel ragazzo (ciuffo compreso) era convito che nel suo cuore ci sarebbe sempre e solo stata la sua bicicletta grigio sorcio campagnolo... ne era talmente sicuro che se lo avrebbe fatto tatuare a caratteri cubitali come sui manifesti sulle braccia, sulle gambe, sui piedi, sulla schiena, sulla pancia e perfino in parti del corpo che non avevano mai visto la luce del sole. Finche un giorno mentre se ne stava sul letto a leggere (beh... più che leggere guardava le lettere) un libro scritto in giapponese, il ciuffo iniziò stranamente a vibrare, ma forte, talmente forte che gli si rovesciò il materasso e gli si impigliarono mani, piedi e pantofole nelle molle della rete del letto, il ciuffo continuava a vibrare, e quando Severino finalmente riuscì a liberarsi non riuscendo a restare in equilibrio sbandò, inciampò nelle coperte arrotolate intorno al materasso, cadde, rotolò sei volte e sbatté sette volte contro lo spigolo appuntito dello sportello aperto del suo armadio grigio sorcio, ma il ciuffo vibrava sempre più forte tanto da tracciare cerchi invisibili nell’aria, Severino si trascinò fino alle scale: gravissimo errore!!! E se ne accorse troppo tardi, quando se ne rese conto aveva già percorso i cinque metri di scale con la testa, e se ne stava con il sedere contro al muro, con i piedi sulle orecchie e il ciuffo rosso che ormai roteava come un’elica impazzita, un’elica impazzita che lo stava conducendo fuori da casa, fuori pioveva, Severino in un momento di lucidità constatò che il le nuvole non stavano buttando giù più acqua di quanta ne aveva buttata sua madre l’inverno scorso per annegare, invece di innaffiare le malcapitate piante del suo orticello sepolto sotto un metro di neve, che poi a che cavolo le era servito uccidere ancora di più quelle piante per lui era ancora un mistero, Severino chiuse i duri occhi neri e si alzò ondeggiando fino all’uscita, oltrepassò la soglia e sbatté forte la porta senza accorgersi che il suo piede, che si era storto nell’impatto con le scale era rimasto, indietro rispetto al resto del corpo e che quindi aveva appena schiacciato con la massiccia porta di casa, richiuse gli occhi e tirò fuori dalla gola un urlo talmente forte che lo sentì tutta la città, tutta la regione, il presidente della repubblica che seduto sulla poltrona schiacciava un pisolino e perfino il ciuffo gli si fermò un istante... quando li riaprì si accorse che il piede, invece averselo schiacciato se lo aveva appena dirizzato. Iniziò a camminare sotto la pioggia finché quando ebbe davanti una ragazza il ciuffo fino ad allora imperterrito nel suo roteare come un lazo... si fermò di colpo. Lei era una ragazza più o meno della sua età, aveva capelli lunghi, neri e lisci come degli spaghetti al nero di seppia, occhi verdi come l’acqua del mare quando non è increspata dalle onde, pelle bianca come la luna che la rendeva un po’ cadaverica e due guance rosse come una mela, lui la fissò con lo sguardo stupito di un bambino che vede il gelato più grande del mondo, e quando vide lei sorridergli gli si drizzarono le orecchie e gli si spalancarono gli occhi, tutti la chiamavano “Francesca La Triste” e nessuno era mai riuscito a strapparle un sorriso, il cielo ci aprì sopra le loro teste all’improvviso e all’improvviso smise anche di piovere, lui immerso ormai in quegli occhi profondi come il mare le chiese: “mi aspettavi?” e lei senza battere ciglio rispose: “si” lui chiese ancora: “ti ha fatto ridere il mio ciuffo?” e lei rispose: “quale ciuffo?” Severino alzò gli occhi e sulla sua testa non si reggeva più l’enorme ciuffo a forma di cavatappi, al suo posto erano comparse due lunghe ciocche di capelli lisci e composti come gli altri che gli coprivano entrambe le orecchie, lui pensò: “mah! Sarà colpa della pioggia acida!” Lei sorrise ancora e disse: “ti ho aspettato per 16 anni... vogliamo andare o no?!” lui rimase in silenzio pensando al suo ciuffo ma soprattutto a cosa rispondere, poi tossicchiò prese le due ciocche di capelli rossi se le legò dietro la testa come un fiocco inarcò la sopracciglia sinistra e disse: “se mi prendi per mano andiamo dove vuoi, tanto lo so che sei la donna della mia vita...” lei fece finta di offendersi, lo prese per mano e si fece raccontare tutto ciò che aveva combinato prima di allora. Severino le narrò le leggende sul suo ciuffo, le raccontò delle padellate che gli dava sua madre, del fossato sotto casa sua, della sua bicicletta grigio sorcio e delle sette botte che aveva dato sullo sportello dell’armadio, e lei rise talmente tanto che la sentì tutta la città, tutta la regione e il presidente della repubblica già svegliato dall’urlo di Severino, sbuffò: “...e pensare che questo una volta era un paese tranquillo! Mah! Sarà colpa delle piogge acide!” I due camminarono per tutta la città raccontandosi ogni istante, ogni secondo che avevano vissuto prima del memorabile incontro con parole talmente dolci e tenere che quasi non sapevano far parte del loro dizionario, e la prima cosa che Severino propose a Francesca fu di comprare una bicicletta a due posti, lei domandò: “color grigio topo?” lui rispose: “ perché no cara... ottima idea!” I due si sposarono tre ore, cinquantatre minuti e ventitre secondi dopo essersi conosciuti, senza essersi dati neanche un bacio, perché neanche sapevano cosa fosse. Stranamente alle loro previsioni impararono molto in fretta, ebbero un figlio, con i capelli neri e ricci, la pelle quasi cadaverica, la passione del mare, per la bicicletta, per i castelli con il fossato intorno, per la frittata di cipolle, per le battute spiritose e per il color grigio sorcio, era davvero un bambino molto simpatico e amava far ridere le persone, forse troppo... lo chiamavano “Taddeo Il Babbeo” come si dice: un nome che è tutto un programma! Alice
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