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 Sionismo, democrazia e diritti umani
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Carmine Monaco
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Inserito - 24/06/2004 :  22:26:51  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Carmine Monaco Invia un Messaggio Privato a Carmine Monaco
Dietro il moderno antisemitismo e l’antisionismo vi è un gioco che coinvolge tutto il mondo, non solo paesi arabi, Europa, Stati Uniti e Russia. Esso è, nel mondo arabo, in primo luogo, la pretesa di maggiore influenza e prestigio sullo scenario internazionale, dopo la fine dell’impero sovietico, soprattutto in considerazione del potere contrattuale derivante dall’enorme disponibilità di risorse energetiche e dalla conseguente potenza economica delle famiglie e dei gruppi (più delle nazioni) che le gestiscono. Il nostro mondo, basato sull’energia derivante dai combustibili fossili, si avvia nei prossimi anni a consumarne quanto resta, e la quasi totalità delle riserve petrolifere rimanenti sarà concentrata nelle mani di alcuni paesi mussulmani. Sappiamo dalle loro stesse dichiarazioni e atti che i fondamentalisti islamici intendono usare l’arma del petrolio per esercitare pressioni contro gli Stati Uniti e le altre nazioni occidentali che sostengono Israele.

In secondo luogo, l’antisionismo offre ai leader arabi e islamici un pretesto per rinviare le trasformazioni democratiche nei paesi soggetti a regimi autoritari, militari o religiosi che siano. Finché ci sarà il Jihad contro l’imperialismo “americano–sionista”, (“provato” dai Protocolli dei Savi Anziani di Sion), in quei paesi non vi sarà democrazia né libertà, né libera circolazione di beni, merci e idee, né si formerà un ceto medio forte, “borghese”, laico e politicamente influente, che potrebbe far prevalere i suoi “mercantili” interessi alla pace e alla cooperazione con l’Occidente, che va invece conquistato e sottomesso, alla fine dei giorni.

Nel resto del mondo, l’antisionismo è soprattutto una dimostrazione di solidarietà con la “causa araba”; solidarietà tutto sommato a buon mercato, finalizzata ad ottenere concessioni e privilegi economici ed energetici, o anche semplicemente protezione dal terrorismo a discapito della sicurezza degli israeliani. Il ricatto energetico è una delle armi più temibili nelle mani dei nemici di Israele, e ciò diventerà tanto più evidente quanto più il prezzo del petrolio supererà la fatidica linea dei 40 dollari al barile. L’antisionismo e l’antisemitismo crescono infatti nei nostri civili e democratici paesi in misura direttamente proporzionale al prezzo di un barile di petrolio, più che come conseguenza dell’operato di ciascun governo israeliano, di destra o di sinistra che sia. In questo contesto l’antisionismo è anche uno strumento di pressione politica adoperato nei confronti degli Stati Uniti dai suoi antagonisti, vecchi e nuovi, certo, ma come corollario abbiamo fattori non meno importanti, come ad esempio la concorrenza tra Banca Centrale Europea, Federal Reserve e banche svizzere. La signora Duisenberg che espone la bandiera del “disperato” popolo palestinese alla sua finestra per invitare gli sceicchi a depositare i loro soldi nelle banche del signor Duisenberg, fa del marketing “avanzato”: parla la lingua dei propri potenziali clienti.

Nel determinare l’obiettivo finale del Sionismo e di Israele, se quello di avere uno Stato entro i suoi confini storici o uno Stato in pace con i suoi vicini, si deve tener conto di un elevato numero di fattori la cui gestione, purtroppo, è spesso completamente nelle mani altrui. Tra questi vi è il fattore religioso, o meglio la predicazione di un Islam fondamentalista e totalitarista, che vorrebbe un mondo totalmente mussulmano, sotto il suo governo, perché così vuole Allah e così vogliono i suoi leader. L’incitamento all’odio e alla guerra permanente costituisce il fondamento della progettualità politica di buona parte dell’attuale classe dirigente della Lega Araba (come dimostra ampiamente la vicenda del primo ministro malese) e, in particolare, di Yasser Arafat e colleghi. Queste “interpretazioni radicali del Corano” pongono chiunque creda in esse automaticamente al di fuori del consesso civile e democratico. Esse sono contrarie a qualsiasi principio di pacifica convivenza tra i popoli e la loro diffusione rappresenta un crimine contro la pace, la libertà, la democrazia e qualsiasi diritto umano finora conquistato.

Oggi antisionisti e antiamericani, riciclando la vecchia propaganda comunista, addebitano all’occidente “capitalista e imperialista” la povertà e l’ingiustizia sociale, indicate come le sole ragioni di quello che viene presentato all’opinione pubblica mondiale come un più generale conflitto tra ricchi e poveri, oppressori e oppressi, Occidente e Islam, Israele e Palestina. In realtà, l’unica reale contrapposizione tra popoli e nazioni nasce dal drammatico processo di involuzione della democrazia e del rispetto dei diritti umani su scala globale, causato soprattutto dal terrorismo sostenuto da regimi corrotti e dittatoriali. Ovvero, da chi nega la centralità dell’uomo e della sfera dei diritti umani, nel tentativo di cancellare la verità inoppugnabile che vuole tutti gli esseri umani «liberi ed eguali in dignità e diritti».

Come dimostrano i dati dell’ONU, il progresso, quando è davvero per tutti, ossia quando è determinato da un processo di crescita democratica, culturale ed economica largamente diffusa, si accompagna sempre ad una maggiore libertà. Non ci può essere progresso laddove la violazione e il disprezzo dei diritti umani porta «ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità».
Le Nazioni Unite furono create con l’obiettivo di costruire «un mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della libertà dalla paura e dal bisogno». L’obiettivo, definito come «la più alta aspirazione dell’uomo», è stato mancato: a 56 anni dalla sua fondazione, l’ONU non è ancora riuscita a concretizzare lo scopo per cui era stata creata: garantire «la libertà, la giustizia e la pace nel mondo» assicurando il rispetto dei diritti umani per ogni popolo e per ogni individuo. Le violazioni, le torture, gli arresti arbitrari, l’abuso dei minori, l’impiego dei bambini nelle guerre, le mutilazioni genitali femminili, la schiavitù sessuale e l’analfabetismo sono in costante aumento in troppi Stati del mondo, molti dei quali fanno parte di fondamentali organismi di tutela di tali diritti umani. L’ONU non è ancora riuscita nemmeno a definire una «concezione comune di questi diritti e libertà», un obiettivo che la Dichiarazione del 1948 giudicava «della massima importanza per la piena realizzazione di quegli impegni».

Neppure tra gli Stati membri dell’ONU siamo riusciti ad ottenere il pieno ed effettivo rispetto dell’articolo 2 della Dichiarazione, che attribuisce ad ogni individuo «tutti i diritti e tutte le libertà» da essa enunciate «senza distinzione alcuna, per ragione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione». Anzi, sono state prodotte e accettate successive carte e dichiarazioni dei diritti umani che arrivano a riconoscere tutti i diritti umani compatibili con quelle tradizioni religiose, politiche e giuridiche come la sharī’a e le leggi di certe democrazie popolari: ovvero, pochi o nessun diritto, se non per una ristretta cerchia che non ne ha bisogno, perché gestisce il potere.
Questo spiega perché la Commissione per i diritti umani, il principale organo delle Nazioni Unite responsabile per la protezione di tali diritti, è attualmente presieduta dalla Libia, adeguatamente sostenuta da altri Stati “sospettati” di violare quei diritti, come la Cina, o addirittura di sostenere il terrorismo, come Cuba, Sudan, Vietnam, Zimbabwe, Arabia Saudita e Siria. La Siria, guidata da un regime corrotto e totalitario, è subentrata proprio agli Stati Uniti, i quali, oltre ad essere la più antica federazione di Stati democratici, versano pure il 22% dell’intero sostentamento di questa assemblea votata a trasformare la massima istituzione mondiale in un teatro dell’assurdo. Ma i diritti umani non sono una pièce teatrale.

La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo resta un punto di riferimento e costituisce uno dei rari esempi nella storia dell’uomo in cui il rispetto del principio e del diritto, più che la valutazione del potenziale bellico, hanno costituito parametri fondamentali per giudicare l’importanza degli Stati. Essa ha favorito, pur se unicamente all’interno delle società democratiche, l’emergere dell’individuo nell’ambito di uno spazio finora riservato esclusivamente agli Stati sovrani. La Dichiarazione ha un peso reale nella vita delle nazioni, dei popoli e degli individui, e costituisce oggi uno dei parametri fondamentali in base ai quali la comunità internazionale può delegittimare alcuni Stati. Lo Stato che calpesta i diritti umani non è considerato degno dell’approvazione della comunità mondiale, almeno in linea di principio. Il fatto che l’unico Stato costantemente delegittimato dall’ONU sia Israele si spiega considerando che: primo, tutt’oggi alla società internazionale manca un criterio univoco, valevole per tutti, che consenta di approvare o di biasimare i suoi membri; secondo, questi criteri evanescenti sono gestiti da chi viola sistematicamente quei diritti che è assurdamente chiamato a difendere, in base al meccanismo della maggioranza automatica e alla connivenza di tanti che si atteggiano a unici difensori della civiltà e del diritto.

Dobbiamo invece chiedere e ottenere che l’ONU e le altre istituzioni preposte all’attuazione dei diritti dell’uomo, onorino quell’impegno etico e morale che costituisce tuttora il principale obiettivo della loro attività e la legittimazione morale dei lauti stipendi elargiti a tanti diplomatici e rappresentanti. Una organizzazione mondiale di Stati e cittadini democratici può essere un passo fondamentale verso le necessarie riforme delle Nazioni Unite, mirate a restituire alla massima istituzione mondiale la credibilità necessaria a garantirle l’autorità morale e le capacità attuative che un tale organismo deve possedere per poter esercitare il proprio ruolo di arbitro dei conflitti tra popoli e Stati del mondo. I principi della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo indicano al tempo stesso l’obiettivo e la via: «la libertà, la giustizia e la pace nel mondo».

Il Sionismo moderno può svolgere un ruolo certamente positivo per favorire l’incontro tra popoli, civiltà e realtà diverse, e può collaborare all’avvento di un mondo in cui la pace, la stabilità e la crescita economica possano concretizzarsi attraverso società organizzate attorno ai valori della democrazia, dei diritti umani e della cooperazione tra i popoli. Ma occorre rilanciare la battaglia per tali diritti, compresi i cosiddetti “nuovi diritti umani”, tra cui quelli all’accesso e all’energia. Occorre ridurre l’impatto del temibile gioco geopolitico che oppone, tanto nel Medio Oriente quanto nel resto del mondo, le teocrazie petrolifere alle democrazie compiute.

Sottrarre il mondo al regime energetico basato sui combustibili fossili non è soltanto un modo per ridurre le mortali emissioni di CO2 a un livello più sicuro per il pianeta e per la specie umana, o per invalidare il ricatto terroristico–petrolifero. Progettare regimi energetici alternativi decentralizzati, come quello all’idrogeno o quello dell’energia solare, può accendere nell’uomo la speranza di redimere chi non lo è, e abilitare chi è privo di ogni potere. Aumentando il numero dei produttori di energia (come è già possibile fare, anche grazie alle tecnologie israeliane) e con esso il livello della qualità della vita e il benessere dei cittadini, cresceranno autonomia e mobilità tanto a livello personale quanto istituzionale ed economica. La diminuzione del potere legato ai combustibili fossili porterà ad una nuova stagione politica ed economica in cui tutte le strade saranno aperte, compresa quella che porta alla pace, alla giustizia e alla libertà in Medio Oriente. Essere “luce per le Nazioni” contribuendo alla salvezza e alla liberazione dei popoli oppressi, può essere il nuovo traguardo del Sionismo contemporaneo.

Carmine Monaco - Coordinatore responsabile dell’Osservatorio sul razzismo e l’antisemitismo della Lega Italiana per i Diritti dell’Uomo (membro FIDH); ex cons. del Comitato Direttivo della Federazione delle Associazioni Italia-Israele.


   
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