emofione
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Italy
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Inserito - 16/08/2004 : 16:58:46
“Fa cardo ma c’è Ardo” si leggeva sul retro delle maglie dei sostenitori di Montano, geniale spadaccino di origini ed indole tipicamente labroniche, salito sul podio più alto di quello che per ogni sportivo rappresenta l’Olimpo cui giungere almeno una volta, coi sogni o colle gambe, sentendosi attraversare in tutto il corpo da brividi quali quelli che, vi assicuro, hanno percorso cavalcandolo ogni mio organo negli attimi finali dell’incontro tra il livornese e l’ungherese. Sì, perché scrivere l’italiano sarebbe certamente più corretto, se non fosse che Aldo è riuscito perfettamente, col suo modo di combattere, all’attacco, col cuore, senza sosta, fino all’ultima decisiva stoccata (quella che gli ha permesso di sventolare in maniera forse irriverente ma toccante la bandiera amaranto con su scritto il prefisso telefonico identificativo della nostra città), ad incarnare lo spirito di aggregazione che si vive dalle mie parti. Perché io Aldo lo conosco solo di vista, come è normale che succeda in una città medio piccola come Livorno dove, alla fin fine, tutti sanno chi è la persona che gli sta davanti, così che magari ti trovi a cena in casa sua (lo scorso Giovedì, n.d.a.) perché sei amico della sorella e hai modo di cogliere da poche parole di lei la tensione positiva che si respira in famiglia nei giorni immediatamente antecedenti all’avventura olimpica. E ti rendi conto che davvero un predestinato campione figlio di campioni, se è di Livorno, è un po’ come un Lucarelli che per motivi diversi ma con lo stesso amore viscerale per le sue radici “rinuncia al miliardo”, cioè un ragazzo che potrebbe viaggiare a due metri dal suolo e guardare tutti da lassù e che invece siede al tavolo insieme agli amici di sempre, è cordiale, è simpatico, è veramente uno di noi. Non è un luogo comune, né una questione politica (tant’è che i Montano e i Lucarelli, si sa, la pensano diversamente da quel punto di vista); è un qualcosa, invece, che sottolinea benissimo, tra l’altro, in un’intervista di questi giorni, un altro “campione” nostrano (perché a chiamarlo VIP si offenderebbe di brutto), il regista Virzì, uno di quelli che davvero hanno cercato di rappresentare in qualche modo tra un Ovosodo e un Baci e Abbracci questo spirito irriverente e dissacrante ma parimenti aggregante e fondamentalmente multi-etnico. Quello di una città nata su un paludoso borgo di pescatori per volere di un tal fiorentino de’ Medici che per popolarla emanò un apposito editto in cui si concedeva asilo a chiunque, per i motivi più disparati, si fosse trovato senza arte né parte, ma soprattutto senza una fissa dimora. Ecco che quel prendersi gioco di continuo dell’avversario ma anche dell’amico del bar, quello scherzare su tutto e di tutti, sdrammatizzando anche le situazioni più difficili, quel carattere passionale e talvolta eccessivo ma genuino, quella capriola sulla pedana olimpica ed il tifo da stadio di parenti ed amici, sono la naturale conseguenza di questa miscellanea di razze e di individui non propriamente nobili ma forse anche per questo più abituati degli altri a reagire ad ogni avversità, ad inventarsi il modo di campare un po’ come i partenopei, a prendere la paura per le corna ed a domarla per raggiungere un obiettivo, quello sì, veramente nobile, come per esempio una certa medaglietta d’oro alle Olimpiadi di Atene. Sentendosi, peraltro, un'unica cosa, un gruppo disomogeneo perché variegato ma assolutamente compatto nei sentimenti e nei valori, finendo per sussultare, di fronte ad una televisione in quel dell’Elba (la residenza ferragostana del livornese doc), ad abbracciarsi, ad urlare fino alla completa afonia (che ha devastato le mie corde vocali di per sé malconce causa sigarette a ripetizione per il nervoso), trovandosi davanti, magari, una signora di 60 anni che non sa assolutamente niente né di sciabola né di fioretto e che fino ad un momento prima credeva Montano fosse il nuovo acquisto del Livorno calcio per la serie A o la concorrente della Simmenthal, ma che ora, inorgoglita e fiera, col pettone in fuori che solo alcune paffute donne veraci riescono a sfoggiare disinvoltamente, “discorre” di parate e di affondi con altrettanta disinvoltura, mimando, sorridendo, bluffando, esultando al grido “boia deh” ed urlando autoironicamente qualcosa del tipo “Dagliele a quer popò di pezzo di ghiaccio, te si che sei come me, giovine, bravo e fatto bene sotto e sopra!”. Ecco, anche per questo Livorno è una città ed una piccola patria nella patria, perché nessuno, dalle nostre parti, rinnega il tricolore (trovatemi un leghista labronico e vi offro una cena a base di cacciucco), ma anzi ciascuno, a modo suo, si bea di rappresentare, con lo sparuto gruppetto dei suoi leader carismatici, una parte importante dell’Italia, quella del Presidente Ciampi, quella forse meno aristocratica ma più aperta di mentalità, quella certamente meno avvezza alla fatica rispetto ad altre ma sempre pronta a correre in aiuto al prossimo, quella meno seriosa delle più ma non meno seria e capace di imporsi in tutti i campi rispetto a queste, quella, mi si conceda il gioco di parole forse non da tutti condiviso ma poco criticabile perché tipico del cieco innamorato, “meno ricca di soldi ma più ricca di idee e di ideali”. E allora fa cardo ma c’è Ardo, signori miei, e io quasi quasi chiudo l’ufficio, ci rimetto i soldi, ma volo ad Atene a vedé la sciabola a squadre... Alé l’Italia e Forza Livorno (che detto al contrario suonerebbe molto peggio, ve l’assicuro…)!
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