rosvita
Villeggiante
Italy
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Inserito - 17/08/2004 : 20:56:59
Vengo da una cittadina delle Marche, al confine con l’Abruzzo, dove gli “spari” sono il momento più emozionante dell’estate. Gli spari. I fuochi d’artificio, per la gente. I giochi pirotecnici, per gli eruditi. “Com’era la festa?” “Beh, mica uno sparo di sant’emidio…” Ecco, dalle mie parti gli spari diventano persino il metro di giudizio della bellezza. Perché sono belli. Più belli di qualunque altri io abbia visti, in giro per tutta l’Italia, Isole comprese. Gli spari. La tradizione annuale che si contendono le fabbriche piantate sui colli, sempre più prestigiose in Italia ed all’estero, che al Santo Patrono dedicano ogni anno le novità ed i pezzi forti della collezione. Che ogni anno girano l’europa con i loro spettacoli presentati in anteprima qui, la sera della tombola, quando questa cittadina di serie A ridiventa paesotto borghese e pastore, e tutti, tutti, tutti si accalcano sui costoni del lungo fiume incassato, a cercare un cantuccio, una panchina, un muretto, o semplicemente un mezzo metro quadrato dove stare in piedi, bambini in “cioccio” sulle spalle dei papà, e motorini parcheggiati ovunque, e tutti pronti ad aspettare il primo botto, che è quello che indica l’imminente inizio, che non si sa quando arriva, una volta arrivò all’una di notte, e un anno invece ci colpì tutti all’improvviso, a mezzasera, che ognuno pensava ai fatti suoi, e noi ancora seduti davanti ai gelati in piazza, e tutti via di corsa dalle strade, a correre ed a sciamare verso il punto migliore. Ognuno con la sua teoria: il lungofiume, te li sparano in testa; il colle, vedi tutto ma senti lontani i botti; il cavalcavia della circonvallazione, dove i tetti delle case coprono gli spari bassi ma l’effetto sulle cento torri è emozionante… E poi per un’ora la città si ferma. Immobile, con il naso per aria. Le auto parcheggiate in mezzo alla strada vengono lasciate lì, sulla mezzeria, senza che nessuno dica nulla; il personale dei locali esce fuori, tutti si accalcano e nessuno chiede scusa o permesso ai vicini, e nessuno si lamenta. E siamo tutti fratellini, anche se alla giostra a cavallo i sestrieri si sono “arregnati” fino a poche ore prima. Così, ogni anno, ai primi d’agosto, la mia città si ferma per un’ora, e diventa magica. Quello che non dimenticherà mai nessuno di quelli che li hanno visti è il rimbombo dello spostamento di vento nella vallata, che risale sui costoni del colle, e che rintuona fino nella pancia. La pressione sui timpani. Gli allarmi delle auto parcheggiate che scattano per la spinta dell’aria. L’odore di zolfo nell’aria, i mille colori che forano le nuvole di fumo denso nel nero nella notte. E quel continuare, l’esplodere incessante di luci e rumori in alto, sempre più forte e sempre più accanito, quasi a volerti intontire, che ad un tratto ti fanno quasi male gli occhi, ma lui insiste, “sparato” da più punti del lungofiume, ad illuminare tutta la vallata a giorno, e l’acqua del fiume, e le auto arrampicate sulla colina di fronte, e quelle ferme sul cavalcavia della Strada Salaria dove i viaggiatori si fermano e scendono, e ritardano il viaggio, perché no, non è uno spettacolo come gli altri, sul serio. Eppoi arriva, la Scappata Finale, e non so perché si chiami così, forse perché ti vien voglia di scappare dalla paura, dal rumore, dalla irrequietezza di quello che vedi in cielo, 15 minuti di spari continui e cattivi, intensi, accavallati, che si spingono l’un l’altro a contendersi un metro di spazio, che cozzano e si sovrappongono e allargano ovunque ovunque ovunque, che sembrano volerlo menare, il cielo, e sfregiarlo con la loro luce multiforme come gli schizzi di una tela di Kandinsky… E tu resti lì, che trattieni il respiro, che ti chiedi fin dove possa arrivare tutta quella energia, e se c’è un limite fisico, e fin quando dovrai trattenere l’emozione, e davvero, davvero, davvero, c’è un trasporto istintivo e affannato che sembra passione amorosa… E all’improvviso, quando parte il botto finale, quello che chiude tutto, si rimane lì, con gli occhi spalancati, e ci si guarda gli uni gli altri, quasi incerti su cosa dire, su cosa fare, su cosa essere, proprio come dopo un piacere improvviso. E parte l’applauso. Lungo, immancabile, liberatorio. Come un abbraccio. L’unico abbraccio che ci diamo ogni anno, con la nostra città.Io quest’anno non c’ero. La Vita nuova ha nuove responsabilità, e si è limitata ad un pensiero nostalgico ma fermo. Perciò quando il pomeriggio di un Ferragosto diverso ma bello mi è giunto l’invito per i fuochi d’artificio nella piazza ovale ho accettato cosciente di una cosa, che non sarebbero stati uno sparo di sant’emidio. Ma che erano la mia nuova vita. E tra le tante cose che mi hanno entusiasmato i pensieri mentre attraversavo a piedi la piazza per raggiungere i miei amici, la più importante era che il Prato è una delle piazze più suggestive d’europa, e che io ero gran fortunata ad essere lì, e che ero felice. Gelato, gente tranquilla, la statua del Gattamelata, le mie nuove tradizioni acquisite, come era tutto normale, splendidamente quotidiano ed emozionante… Il concerto di un network radiofonico precedeva il grande momento, l’isola Memmia in mezzo al Prato transennata, il traffico intorno bloccato. Poi, dopo l’ultima hit delle veline, due parole dell’assessore, e all’improvviso il silenzio. O meglio, quello che io credevo essere il silenzio. Perché invece dalle potentissime casse del network è partito un sottofondo musicale coordinato ai giochi di luci. E all’improvviso non abbiamo saputo più dove guardare. I giochi pirotecnici (perché altrimenti non si possono chiamare) spuntavano fuori da ovunque, dai palazzi storici, dall’antico Foro Boario e dai suoi colonnati, dalle statue che sembravano sospese nel fumo, seguendo le percussioni e le supremazie vocali di Elton Jhon, Midgeiure, Anastacia… E poi, ad un tratto, la voce silente di Freddy Mercury dei Queen che cantava Who wants to live forever, e tutto il Prato, 100.000 persone, a cantare con lui, mentre in alto si spaccavano mille razzi luminosi che illuminavano di bianco incandescente tutte le teste, e le statue, e i palazzi, e le logge…E che no, non erano uno scoppio di sant’emidio, ma dio se erano magici!… E per un tratto ho ripensato alle persone che mi mancavano, al mio migliore amico, a fabio che non risponde al telefono, alla mia bestiola che porta pazienza, e mi sono chiesta perché perché perché “Perché non siete qui a condividere tutto questo entusiasmo con me? Perché vi ho dovuto lasciare indietro?” Perché, accidenti, per avere una cosa bella devi rinunciare ad un’altra? E perché le cose non sono belle o brutte in assoluto, ma legate al contesto in cui avvengono, alle persone con cui le condividi, al sottofondo che le accompagna? Mi sono voltata verso uno dei miei compagni. Mi guardava anche lui. “Bello, vero?”, ha chiesto. Io ho ripensato alle serate trascorse sui muretti ad aspettare, ai campi arati attraversati di notte temendo i contadini, ed ai ferragosto immobili della mia vita. “Bellissimo”, gli ho risposto. E mi sembrava di straripare di benessere e di emozione.
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