di Zanin Roberto

La nebbia di primavera è fastidiosa e avvolge ogni speranza di rinascita,il malumore prende potere e la mente s'arrende al pessimismo, le sigarette fumate in quell'ozio dell'attesa sono un trastullo dei nervi.
Fuori oltre l'orizzonte invisibile la guerra è diventata orribilmente seria, le trincee sono tinteggiate dal sangue di soldati eroici e il rombo cupo dei cannoni punteggia lo scontro per il sopravvento.
Ecco all'improvviso un vento sostenuto soffia via quella invadente nebbia, si apre il cielo di quella domenica 21 aprile 1918 e il cuore batte forte.
Occhiali stretti al viso, guanti di pelle alle mani, il casco calato come una seconda pelle e l'aria sempre più forte sbattere sulle guance mentre il Fokker Dr.I 425/17 del Kommandeur si alzava in volo lesto e il peso allo stomaco farsi leggero e svanire disperso tra le nuvole amiche, lui che rinasceva quando volava.
La sua squadra di cinque aerei si imbatte in sette Sopwith Camel inglesi e le danze hanno inizio.
Le mani sono leggere sulla cloche, le mitragliatrici intrecciano scie malefiche e il barone è con i suoi pensieri, distante anni luce dalla realtà, oscilla ovattato in traiettorie basse, fuori dai canoni della battaglia, lui il pluridecorato asso dell'aviazione tedesca non è pronto.
Rivede gli 80 abbattimenti personali del suo fresco record, fumo e fiamme avvolgere le sue prede, schianti paurosi, esplosioni e i volti insanguinati dei nemici abbattuti, i tanti trofei strappati e collezionati.
Il sottotenente Wolff lo affianca, si guardano intensamente, il barone Von Richtofen annuisce e alza il braccio a tranquilizzare i suoi uomini, il tenente Karjus si stacca è alle prese con due Camel nemici.
Manfred Von Richtofen si avvita e scende in picchiata verso un Camel e inizia il suo concerto di pallottole. Sotto il fiume Somme descrive una leggera ansa poi ci sono le trincee delle fanterie tedesche che al passare radente dell'aereo rosso del Barone alzano le mani in segno di tripudio.
L'inseguimento non è determinato, il tenente May è in preda al panico, proprio per le sue manovre inaspettate e sconclusionate dettate dal terrore si salva la vita.
Il Barone Rosso guarda intenso quelle trincee con trasporto da bassa quota e l'assale un senso di colpa, vorrebbe condividere lo stesso fango, la stessa schiavitù da prima linea, il rombo del motore copre ogni rumore e si ridesta nell'inseguimento.
Ora sta raggiungendo le linee nemiche, il verde della campagna si uniforma, le colline muovono incontro, chiudono lo spazio alla sua preda.
L'inglese è suo...non ha scampo...anche se le norme del protocollo da lui stesso dettate, vietano tassativamente di inseguire un nemico oltre le linee nemiche...beh...
Quando l'abitudine all'abbattimento sta per suggerire, quasi inconsciamente, le ultime manovre di avvicinamento ecco che un forte calore lo percuote, uno schizzo rosso gli offusca gli occhiali, il respiro si fa difficile, dal petto un rivolo di sangue spande di quel cuore impavido gli ultimi battiti,mentre le forze svaniscono esegue una manovra di atterraggio quasi completata.
Giù, da quelle trincee, tanto amate dall'asso, era partita una pallottola, forgiata dal Fato, da una postazione australiana di mitraglieri che era entrata sotto l'ascella destra e uscita vicino al capezzolo sinistro.
Mentre l'aereo planava, il Barone Rosso sentiva sempre più lontano il rumore del motore, la vista sfuocava, la nebbia della morte lo avvolgeva, ma aveva un'ultimo messaggio da dire, con le residue forze prima che la storia se lo rapisse.
Il risoluto Icaro toccò terra, il Fokker si fermò, pochi minuti dopo arrivarono un paio di soldati inglesi e nell'ultimo regalo di vita sussurrò:
- " Non sono stato abbattuto...mi sono arreso!"
Nessuno lo senti, ma il vento che lo aveva sostenuto per tanti anni là in cielo, disperse ogni sentimento mentre il rosso triplano giaceva immobile in quel prato punteggiato di bianche margherite, cessava di stupire il mondo a 26 anni questo insolente aristocratico che aveva maturato coscienza verso la miserabile guerra che frantuma ogni nobile utopia.
Erano le 11,45 quando l'aquila Manfred Von Richtofen ripiegò le ali per riposare finalmente in pace con se stesso.