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Israele nella Nato e politiche di sviluppo

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Stampato il: 22/12/2024

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Autore Tema: Carmine Monaco
Oggetto: Israele nella Nato e politiche di sviluppo
Inserito il: 18/07/2006 10:12:31
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Articolo comparso in prima pagina sul quotidiano "Italia dei Valori" il giorno 18 luglio 2006

Israele nella NATO e politiche di sviluppo e cooperazione dell'area mediterranea.
Strumenti efficaci per ottenere pace, sicurezza e sviluppo per tutti i popoli


di Carmine Monaco

L'attacco ad Israele scatenato dagli Hezbollah, il "Partito di Dio" al governo in Libano con i finanziamenti iraniani e il supporto logistico e militare siriano, è la duplice risposta che l'Iran ha dato al mondo sia in merito alla trattativa sulla corsa al nucleare degli ayatollah, sia riguardo al processo di pace tra Israele e Autorità palestinese. Un attacco globale, premeditato, mirato ad accerchiare Israele e ad isolarlo sul piano diplomatico. Gli Hezbollah libanesi hanno persino atteso che si esaurisse l'eco dei mondiali di calcio, per ottenere il massimo dell'attenzione mediatica, per dare risalto alla crisi, al calcolato impennarsi dei prezzi del petrolio, alla fibrillazione dei mercati. Questa volta, però, hanno commesso un grave errore strategico che ha chiarito al mondo alcuni punti fondamentali, che peraltro emergono già dalle indicazioni che giungono dal vertice dei G8 a San Pietroburgo.
Il primo è che la nostra percezione di stati arabi suddivisi secondo confini stabiliti spesso con il righello dal colonialismo europeo è profondamente errata. I poteri sovranazionali e i legami familiari, tribali e religiosi contano più dell'appartenenza territoriale. Lo dimostra il Libano, un paese di fatto non sovrano, con un popolo che aspira in maggioranza alla libertà e alla democrazia, preda di un governo filo-siriano e filo-iraniano che non vuole e non può controllare il suo territorio, ostaggio o complice di un esercito terroristico agli ordini del suo leader Nasrallah.
Il secondo riguarda l'assoluta necessità di impedire che gli ayatollah iraniani si dotino di un arsenale nucleare, per non scatenare un conflitto su vasta scala che potrebbe porre fine non solo all'esistenza di quell'Israele che tante volte il presidente Ahmadinejad ha detto di voler "cancellare dalla cartina geografica", ma alla stessa sopravvivenza delle popolazioni dell'area mediorientale, con conseguenze inimmaginabili per tutti. Chiunque abbia visto le città e i villaggi israeliani sotto la pioggia incessante di missili di fabbricazione iraniana con tecnologia cinese, sempre più precisi e micidiali lanciati dagli Hezbollah, sa che la teocrazia islamica non esiterebbe un istante ad usare le armi nucleari contro Israele, qualora ne venisse in possesso. Hezbollah inoltre è già in possesso di missili ancora più potenti in grado di raggiungere Tel Aviv, e per lanciarli attende solo l'autorizzazione di Teheran: uno scenario che Israele ritiene possibile ma per ora improbabile. Possiamo solo immaginare cosa può spingere Teheran a dare o meno via libera all'uso di tali armi.
Anche da parte israeliana giungono risposte chiare. Israele sa che, ancora una volta, è in gioco la sua stessa sopravvivenza. Questa percezione potrebbe influire sulla politica del ritiro unilaterale da territori avviata dal precedente governo Sharon, allo scopo di dare dei confini certi ad Israele e ai suoi vicini. Diversamente dai precedenti ritiri, questo non avveniva in cambio di un trattato di pace ma solo per dimostrare al mondo, agli arabi e ai palestinesi la volontà concreta di Israele di giungere ad una vera pace. E la storia si è ripetuta: così come Israele ha sempre offerto territori in cambio di pace (vedi Egitto, Giordania e Libano), da parte palestinese e araba è giunta ancora una volta la stessa risposta: guerra e terrorismo. Nel 2000 fu Arafat a scendere gioioso dall'aereo mostrando le dita aperte a "V" in segno di vittoria per aver umiliato Clinton e Barak, rifiutando l'ennesima occasione di pace e dando il via alla seconda "intifada" e alle sue distruzioni; ora è Nasrallah a ordinare la guerra.
Ma il silenzio o addirittura le critiche che avevano accompagnato il ritiro unilaterale israeliano, stavolta è stato spezzato. Di fronte all'evidenza dell'aggressione libanese, parte del mondo ha reagito e per la prima volta un documento del G8 chiede innanzi tutto ai terroristi libanesi di porre fine agli attacchi contro Israele e di liberare tutti gli ostaggi, e di conseguenza ad Israele di cessare il fuoco. E per la prima volta nella sua storia, le Nazioni Unite, sempre dure con Israele, non hanno condannato soltanto lo stato ebraico, chiedendo invece un cessate il fuoco ad ambo le parti.
Possiamo affermare che la strategia iraniano-siriana mirata a scatenare la reazione di Israele per spingerlo alla guerra e isolarlo dal mondo, per ora non ha ottenuto i risultati sperati. Forse questo fallimento ci sta allontando, anche se di poco, da una guerra globale in Medio Oriente, nonostante la frettolosa dichiarazione della Lega Araba che ha dato per morto l'intero processo di pace nell'area.
Rimane però, da una parte, la sensazione - se non la quasi certezza - di Israele, di trovarsi ancora accerchiato dai suoi nemici di sempre e ancora quasi da solo a combatterli, dall'altra la determinazione del mondo libero a rendere sicura una delle aree più esplosive della terra. Forse la soluzione più semplice ed efficace tra quelle praticabili può essere il rapido ingresso di Israele nella NATO, accompagnato dal potenziamento e dall'ampliamento delle zone di cooperazione e libero mercato sul Mediterraneo.
L'ingresso di Israele nella NATO è un atto coraggioso che comporterebbe il depotenziamento delle attività belliche dei gruppi terroristici e dei regimi teocratici e dittatoriali che li finanziano, oltre a dare ad Israele una sicurezza non soltanto psicologica rispetto a future aggressioni. Un gesto che può significare la ripresa delle trattative di pace tra Israele, Autorità palestinese e stati arabi e, con queste, la ripresa di una politica di convivenza pacifica e costruttiva tra gli stati del Mediterraneo. Un atto politico di dimensione storica che, accompagnato da efficaci strumenti di cooperazione e sviluppo dell'intera area mediterranea, può davvero costituire il primo passo lungo la strada alternativa e pacifica che porta alla costruzione di società libere e democratiche in tutto il Mediterraneo, al tramonto di dittature e teocrazie obsolete, retaggio di un medioevo tecnologico dal quale centinaia di milioni di esseri umani vogliono, possono e debbono uscire.
L'Italia può farsi portavoce forte di questa proposta. Pace, sviluppo e sicurezza. Israele, il mondo libero, la tanta gente che ieri affollava Largo 16 ottobre a Roma e che oggi scenderà in piazza a Milano per testimoniare la propria solidarietà ad Israele ed ascoltare i discorsi di tanti politici e intellettuali, non chiedono altro. Pace, sviluppo e sicurezza. L'alternativa è lo scenario che abbiamo oggi davanti agli occhi.



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