Nella mente del mostro
Stampato
da : Concerto di Sogni
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Stampato il:
22/12/2024
Tema:
Autore Tema: July
Oggetto:
Nella mente del mostro
Inserito il:
27/09/2006 13:25:27
Messaggio:
Samuel discese le scale giungendo sino alla hall dell’albergo in cui alloggiava, e si diresse al bar dello stesso. Fece colazione con brioche e succo d’arancia, e nel frattempo prese a meditare attorno all’assurda vicenda sulla quale stava indagando.
Una ragazzina spaventata che all’improvviso si trova racchiusa dentro un mondo invisibile pieno di cose orribili e raccapriccianti, pensò.
Il liquido arancione chiaro riempiva il bicchiere di vetro sovrastato da una leggera schiuma pallida; Samuel lo fissava, ma in realtà la sua attenzione andava oltre.
Un padre disposto a fare qualsiasi cosa per sua figlia. E forse non solo.
Un ragazzo morto circa un anno prima, la cui vita era stata brutalmente afferrata con le unghie da un destino avverso.Ma era proprio così, si chiese Samuel svuotando rapidamente il contenuto del bicchiere, era stato proprio il destino avverso e crudele a portargli via la vita, o c’era stato forse l’intervento di una forza arcana e misteriosa, simile del resto alle forze che agivano adesso?
Rifletti, amico, si disse sedendosi sullo sgabello dalle lunghe gambe situato sotto il banco del bar, non c’è niente di razionale in questa strana faccenda. Si, perché era proprio una strana faccenda.
Aveva fatto indagini per conto proprio, imperniate sugli incidenti a cui Chrissie aveva assistito dall’alto di quella specie di nuvola immaginaria in cui sostava nei momenti di trance, e aveva raccolto qualche interessante notizia attorno a Gilly Prass e a Beatrice Shirley.
Gillian Prass, detta Gilly, era stata fidanzata con Andrew Grant l’inverno prima che lui morisse. Era stato il primo amore di Andrew, quello che scoppia tra i mille fuochi d’artificio colorati dell’adolescenza, lo era stato fino a quando Andrew aveva scoperto che lei lo tradiva. Era successo ad una festa organizzata da una compagna di classe. Andrew aveva detto che non avrebbe presenziato alla festa perché quel giorno sarebbero andati a trovare i nonni; l’ultima volta che la sua famiglia si era recata dai nonni lui non c’era, per cui era necessario rimediare presentandosi alla visita successiva. Tale visita aveva avuto in realtà vita breve, ed Andrew era tornato a casa prima del previsto. Aveva pensato di fare una sorpresa a Gilly, ma giungendo a casa della festeggiata, la prima cosa che aveva notato erano gli sguardi sorpresi e smarriti dei presenti. Sembrava che tra di loro rimbalzasse una specie di palla, pesante e cocente cosicché nessuno poteva tenerla. Questa palla era forse una notizia di dimensioni megagalattiche, troppo dolorosa per dirlo apertamente, ma troppo importante perché fosse tenuta nascosta. Così, mentre un Andrew ignaro si dirigeva nella cameretta in cui sapeva di trovare Gilly – qualcuno gliel’aveva indicato, con un cenno del capo – l’ombra della rassegnata certezza che la festa per oggi era finita calava come un sipario sulle dozzine di occhi complici.
Andrew aveva scostato la tenda – perché era uno scantinato adibito a locale per le feste – e davanti ai suoi occhi si era dispiegata la scena infame che mai avrebbe voluto vedere, e che soprattutto mai avrebbe voluto vedere così. Era sbiancato, di fronte ai due corpi adolescenti avvinghiati, aveva cercato di farfugliare qualcosa ma le parole gli erano morte in bocca, infine era uscito, fuggendo gli sguardi colpevoli di Gilly e del compagno.
Era stata la sua prima delusione amorosa, e a quel tempo ancora non lo sapeva, ma sarebbe stata l’ultima. Si era allontanato rimuginando sulla scena a cui aveva assistito, senza dedicare la benché minima attenzione alla schiera di amici attorno a lui.
Era uscito fuori, e aveva pianto.
Aveva pianto con tutta la forza che sprigionava dal suo cuore adolescente spezzato.
Allora non avrebbe mai immaginato che a causa di un cortocircuito la casa di Gilly sarebbe diventata un’enorme torcia proprio il giorno del suo funerale.
Difficile immaginare una simile evenienza, pensò Samuel lasciando il banco del bar e dirigendosi verso l’ascensore, ma strana coincidenza. Strana coincidenza davvero, soprattutto se messa a raffronto con la seconda.
Beatrice Shirley. Chi era Beatrice Shirley.
Samuel aveva fatto diverse indagini al riguardo, ed era venuto a conoscenza del fatto che c’era stata una seconda festa nella storia della famiglia Grant. Indetta da Beatrice Shirley, per l’appunto. Una festa a cui Chrissie non era stata invitata, unica fra tutte le compagne di classe.
Era stata una settimana tremenda, per Chrissie. L’invito alla festa di compleanno di Beatrice aveva fatto lo slalom tra i membri della classe, girandole attorno come un giavellotto; lei era stata l’unica a non essere invitata, e il motivo era che oramai si stava diffondendo l’immagine di una Chrissie fasulla, imbrogliona, che faceva carte false per guadagnare un po’ di notorietà. Così il risultato era stato che Christina, oltre il grande dolore che già aveva, si era dovuta tenere quello dovuto all’esclusione dalla cerchia dei coetanei.
Samuel fissava la superficie levigata dell’intendo dell’ascensore, e ripensava alle parole pronunciate da Jordan, che gli avevano fatto gelare il sangue nelle vene.
Farei qualunque cosa pur di non veder soffrire la mia ChrissieL’odore della verità gli solleticò la punta del naso come se si fosse trattato di un’essenza tropicale
Qualunque cosa
Finalmente i tasselli macabri della vicenda cominciavano ad incastonarsi fra di loro
Pur di non far soffrire
assumendo le sembianze di una figura chiara, anche se tuttavia rimaneva fuori dal cerchio
la mia
l’immagine di Eleanor Garrett
Chrissie
Chrissie aprì gli occhi, e si ritrovò persa nel nulla.
Sapeva cosa le stava capitando, era appena entrata in uno dei suoi momenti di alienazione dal mondo intero. Momenti in cui dolore e rabbia si condensavano in un emozione del tutto nuova, impersonale, che la faceva sentire una creatura inesistente. Come se venisse in realtà pensata da qualcun altro.
Solo che in genere Chrissie si trovava all’interno di scenari più tetri e lugubri. Adesso si trovava dentro una casa dai lunghi corridoi sui quali si affacciavano decine di camere buie, il cui uscio era coperto da grosse tende di velluto rosse. Camminava, senza chiedersi dove stava andando; seguiva una direzione invisibile, un filo trasparente situato nel cuore dei meandri oscuri percorsi dai suoi piedi affrettati. Era come seguire una sceneggiatura scritta da un anonimo la cui identità si celava dietro quei tendaggi, il cui sguardo si nascondeva invece nelle pieghe di stoffa drappeggiata sugli angoli, la cui voce era musica che si insinuava negli interni bui.
“Vieni, Chrissie”
La sua voce, ora, assumeva invece la consistenza di una voce nota, familiare. Non più musica dipanata nei corridoi, ma voce vera e propria.
“Chrissie, mi senti?”
Ed ecco, inaspettatamente, un’altra voce, un po’ meno familiare, si insinuava in quall’arcana dimensione.
Chrissie volteggiò su sé stessa, ma non vide nessuno.
“Vieni qui, Chrissie. Hai paura?”
“Io…non ho paura…”
“Svegliati, Chrissie. Torna alla realtà.”
Chrissie si sentì scuotere da una forza invisibile.
“Non aver paura, Chrissie. Vieni avanti.”
Chrissie si mosse verso la pesante tenda rossa, e la scostò con una mano. Di spalle, in piedi contro una finestra, vide suo padre.
“Hai paura?” le domandò.
“Ecco, un po’.” Rispose Chrissie.
“Perché? Ci sono qua io.”
“Si, ma…da quando vengo qui sono successe tante cose strane…sei stato tu, papà?”
Svegliati, Chrissie
“Tesoro, io non permetterei mai a nessuno di fare del male a te o a tuo fratello. Lo sai.”
“E uccidere ti sembra una buona soluzione?”
“Io non ho ucciso nessuno, sono stati tutti incidenti…”
Allora, ti vuoi svegliare
“E’ colpa tua se sono capitati?”
“Diciamo che dentro di me c’è una forza enorme…grande quanto l’amore che provo per te…”
A Chrissie parve di ritrovare la vitalità che aveva perduto; la rabbia e il dolore confluirono in una corrente impetuosa che ora si muoveva nei suoi arti.
“Sei stato tu, allora….come hai potuto?”
Jordan la osservava sereno.
“Chrissie, l’ho fatto per te.”
“Io…io non te l’ho chiesto.”
Svegliati
“Un padre non ha bisogno che i figli che ama chiedano. Sa cosa va bene per loro.”
Chrissie sentì il calore delle lacrime che le affioravano agli occhi; strinse forte i pugni, al punto che le unghie laccate le si conficcarono rabbiosamente nella carne, ma non provò dolore. Non quello fisico, almeno.
Piena di rancore e di risentimento, osservò suo padre che non cessava di osservarla tranquillo.
Chrissie, forza! Svegliati!
La voce di sottofondo continuava a inebriarla, mentre Jordan le afferrava le mani e gliele apriva, concentrando la sua attenzione sui semicerchi lasciati dalle unghie.
“Sai che ti voglio bene.” Disse Jordan guardandola negli occhi.
La rabbia accumulata durante quei viaggi proruppe come una furia in lei.
“Io no. – rispose secca. – Io non ti voglio bene.”
Sul viso di Jordan si delineò un’espressione devastata. Chrissie vide i suoi lineamenti deformarsi, i contorni della sua fisicità accartocciarsi, e pian piano…
“Ho solo una domanda, papà. – incalzò per l’ultima volta – Che colpa aveva Eleanor Garrett?”
Come in una battaglia già persa Jordan riuscì a parlare, mentre sia lui che l’assurdo mondo che li circondava crollavano.
“Guidava la macchina…che è andata contro Andrew….” Le sue parole vennero risucchiate nel vortice.
Chrissie aprì gli occhi di colpo e vide Samuel chino su di lei.
“Allora, come va?”
Si guardò attorno smarrita. Dentro di lei sbocciava la consapevolezza che si era appena dissolto un sogno bruttissimo, un incubo di dimensioni più che grosse, forse enormi. Di cui il truce protagonista, o forse sarebbe stato meglio dire l’autor, era suo padre.
“Dov’è papà?” domandò la ragazza, e lesse la risposta sul viso amareggiato di Samuel.
Non si rammaricò. Non pianse, non urlò.
I loro sguardi complici si dissero che avevano capito tutto. Entrambi.
“L’incubo è finito.” Commentò Chrissie.
“Proprio così.- replicò Samuel – L’incubo è finito.”
July
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