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Domenica pomeriggio

Stampato da : Concerto di Sogni
URL Tema: https://www.concertodisogni.it/mpcom/link.asp?ID ARGOMENTO=14843
Stampato il: 23/12/2024

Tema:


Autore Tema: amarone88
Oggetto: Domenica pomeriggio
Inserito il: 19/10/2006 17:03:02
Messaggio:

Domenica pomeriggio, va a concludersi un fine settimana pacifico.
Caro amico che sei venuto a trovarmi, ti accompagno alla metropolitana, la fermata è a una ventina di minuti a piedi e faccio con piacere due passi nel tepore di questa metà ottobre incredibilmente mite.
E' finita da poco la partita, dentro allo stadio hanno gridato quattro volte e ora ci passiamo accanto con l'aria trulla di chi neppure sa cosa ci sia accaduto dentro. Ancora non abbiamo idea di cosa ci aspetta, il cielo è pulito e la luce del sole è confortevole, limpida e avvolgente. Una coccola.
La strada è sempre quella, vivo qui da abbastanza tempo per non aspettarmi sorprese, sinché costeggiamo il rettilineo est gli racconto che sulla destra ci sono i cavalli e sarebbe carino provare una volta a entrare e provare a prendere qualche lezione di equitazione. Senza impegno, quasi un'ippoterapia al posto dei soliti strizzacervelli: secondo me avere un cavallo tra le gambe fa molto meglio che trovarsi un dottore di fronte.
Ci incrocia e ci supera gente di tutti i tipi, le rampe dell'arena farebbero pensare alla Torre di Babele perché sembriamo gli unici a parlare italiano, e mi diverto a lasciarmi sfiorare la mente indaffarata a chiacchierare da quell'inconsapevole conteggiare tutte le lingue diverse.
Giriamo un angolo, ecco, qui il giovedì sera ci si ritrova fra motociclisti, ma non mi piace più andarci perché sembra che sia requisito irrinunciabile essere sbruffoni. Ehi, guardiamo negli interstizi di quel cancello, magari dietro si vede un purosangue che si allena. No, non c'è, con un sorriso proseguiamo, Guarda, è di là, vedrai che bello il viale, completamente verde. Anche se c'è traffico, quasi non te ne accorgi, pare comunque di stare in un bosco.
Le chiacchiere proseguono, ma qualcosa inizia a far brillare l'aria della polverina magica delle fate, e quattro occhi si alzano sulla destra per farsi notare a vicenda quant'è bella questa casa. Con tutte le volte che ci sono passato davanti, me ne accorgo solo ora, e non riesco a staccare gli occhi da quel piccolo palazzo moderno e discreto, con delle grandi vetrate da dentro le quali si può vedere in pace un pezzo di mondo che in fondo non è niente male. Accanto, i terrazzi gradevolmente immersi nel verde, e la gente calma sulla via sembra contagiata dalla serenità che deve averci messo chi ha concepito quell'oasi in mezzo alla grande e frenetica città.
I passi rallentano, i volti già sorridenti si soffermano ammaliati e fantasticano quanto potrebbe essere incredibile abitarci dentro. Quando vinciamo la lotteria ce la compriamo eh.
Ma andiamo avanti, a malincuore superiamo la casa e guardiamo quella dopo, quasi altrettanto bella. Ma dopo la prima sembra quasi una delusione, com'è ingiusto questo mondo che ci costringe a rendere tutto relativo e a scartare come semplicemente indegno ciò che se non ci fosse qualcosa di migliore sarebbe di per sé il meglio.
Ci lasciamo sulla destra una stradina tanto desiderosa di passare inosservata da affacciarsi sul viale senza neppure interrompere il marciapiede. Edifici bassi, recinti, poche auto sonnecchiano parcheggiate sul ciglio, e silenzio, un'aura di quiete che ci risucchia persino dopo che siamo andati avanti per parecchi metri. Ehi, hai fretta? No! Dài, torniamo indietro e divaghiamo un po'.
Intanto sorrido del piacere di condividere con lui una gravità particolare, che attrae verso la sabbia sinuosa di un deserto anziché contro il semplice basso di tutti. I colori intorno aiutano, sembrano un salotto stile ottocento, e una tazza di tè in mano, e una pipa appoggiata sul comò che ricorda rassicurante che le sue forme morbide e tondeggianti saranno sempre felici di lasciarsi accarezzare dalle mie mani.
Cominciamo a renderci conto di quanto sia un'isola incredibile, quella sulla quale siamo approdati, dopo avere guadato ignari una sottile e banalissima striscia di asfalto: quell'edificio non era un banale incidente, ma un confine misterioso che ora abbiamo varcato.
Non sappiamo più da che parte guardare, una casa più bella dell'altra, inferriate sufficientemente rade da stuzzicare la nostra invidia ci ammiccano, balconi traboccanti colori, trovate architettoniche singolari e semplici quanto accattivanti. Qui un praticello rado rado, un cortile minuscolo e accogliente, che ci vai a fare al parco quando puoi scendere le scale e leggerti il tuo libro appollaiato lì su quella panchina ai piedi di un ulivo?
Camminiamo spaparanzati in mezzo alla strada, se per un caso passa un'auto o un motorino è comunque un pigro natante che flemmatico aggira noi macchie d'olio sparse sull'asfalto per non costringerci a levarci da dove non dovremmo essere. Ogni tanto un essere umano dal volto disteso, bambini che giocano senza proietti che sfrecciano accanto, padri con i figli, e noi che a bocca aperta continuiamo a lasciarci sorprendere a ogni cambio di isolato.
Davvero siamo nella nostra città?
Una scuola, riesce a essere incredibile pure quella! Bella, con la bi maiuscola, ampia e bassa, commentiamo che sembra più una di quelle aree di esposizione di arte moderna così diffuse in Germania, che quello che in realtà è.
Se possibile, abbiamo ancora meno fretta di prima, anzi, cerchiamo di tirare in lungo più che ci riesce sbisciolando qui e là, attraversando la strada per andare a guardare dentro a un cancello, oltre una siepe, allungare il collo per rubare più possibile da un balcone. Ci sono pure la casetta di marzapane e il castello della strega, tutti godono, nessuno ostenta.
La fantasia improvvisamente è satura, la luce cala e la folla che poco prima avevamo solo sfiorato torna a radunarsi sui confini della bolla di sapone. La metrò è oramai a due passi, vale la pena di non abusare della propria voglia di meravigliarsi. Con la nostra espressione trasognata e buffa ci rassegniamo a rinunciare a qualche citofono attraente, torniamo nel mondo.
Scende le scale, io giro sui tacchi e mi incammino per tornare indietro, determinato a reimmergermi nell'Isola che non c'è in compagnia dei miei pensieri cupi. Gironzolo ancora un po', ma da solo non è la stessa cosa e un senso di urgenza mi invita a tralasciare la flemma che volevo impormi e a tornare a casa. Senza neppure accorgermi mi ritrovo sul grande viale di scorrimento dove nulla è nuovo e le auto sfrecciano, il castello della strega sonnecchia. E' strano come, visto da qui, sia meno attraente e onirico, eppure è sempre lui.
Portami ancora a guardare le cose con i tuoi occhi.

Iacopo


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