LA "PASIONARIA"
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Stampato il:
22/12/2024
Tema:
Autore Tema: cuocoligure
Oggetto:
LA "PASIONARIA"
Inserito il:
02/02/2008 01:43:37
Messaggio:
......ed infine ci fu l'esplosione di colori che la natura, incurante delle tragedie umane, riserva per sé.
Di "pasionaria" aveva solo il nome. Non l'aspetto ispanico, a cui una certa iconografia popolare ci aveva abituato, né lo sguardo a cui il nome rimandava nell'immaginario collettivo.
La figura esile e filiforme, sembrava più quella di una ragazza nordica, che di una donna latina. Un caschetto di capelli biondi e gli occhi verdazzurri come il mare profondo della sua isola. Questa era Dulce Maria.
Dulce Maria, o semplicemente Dulce, come amava chiamarla José, un fuoriuscito dalla Spagna franchista che era arrivato quassù fin dai primi momenti delle formazioni partigiane dopo anni d'attività clandestina antifascista nella zona del porto.
Dulce Maria aveva poco più di diciott'anni, quando si era innamorata perdutamente del bel José, anarchico e ribelle, che aveva lasciato gli studi di architettura a causa della sua malcelata attività antifascista.
Dulce Maria frequentava la stessa facoltà, nei suoi sogni c'erano gli interni delle ville che spuntavano tra un'insenatura e l'altra della Gran Canaria e che lei, dall'alto del suo "pueblo" Santa Brigida, vedeva costruire giorno dopo giorno.
Aveva sempre sognato diventare una grande arredatrice. Frequentava con profitto tutti i corsi del primo anno, quando il suo bel José fu costretto a fuggire ed approdare a Genova, attraverso il Marocco, Tunisia e Francia.
Passarono alcuni anni prima di ricevere il passaporto clandestino che l'avrebbe portata Genova, proprio in piena guerra.
In quei lunghi mesi, la passione per José era diventata ancora più forte. Al suo sentimento puro di diciottenne si erano aggiunti lo strazio della lontananza, l'impossibilità di comunicazione e l'ammirazione per il fuoruscita, tutti elementi che l'immaginazione esalta trasformando l'oggetto del desiderio in mito.
Si, per lei José era davvero un mito. Lo era da come si muoveva nel labirinto di "carruggi" tra via del Campo, Soziglia, Canneto e Sarzano. Lo era per la considerazione che gli antifascisti genovesi nutrivano per lui, per il rispetto che tutti portavano a lei, la donna di José.
Alle prime formazioni partigiane, José abbandona la zona di Prè e si unisce ai partigiani della "Garibaldi".
Dulce, rimane sola nell'appartamentino di Vico San Filippo, che occupava sotto il nome di Isabel Sanguinetti, una rimpatriata argentina.
Le giornate lunghe e tristi senza José, passavano nella più completa solitudine, nonostante qualche sporadica lezione di spagnolo che riusciva a dare. Non poter vedere il suo uomo, unico scopo della sua giovane esistenza, significava non sopportare la vita clandestina che fino ad allora aveva accettato. La solitudine, il ricordo delle sue isole così lontane, il desiderio di essere vicino a José, furono la spinta a rompere gli indugi e raggiungere il suo uomo sui monti dell'Appennino.
Non fu facile convincere Bistolfi, responsabile dei collegamenti con le formazioni, tuttavia la volontà e la capacità di convinzione di Dulce vinsero sulle perplessità del comando. Fu deciso di aggregare Dulce alle sortite che Nora, staffetta polceverasca, faceva di tanto in tanto oltre i Giovi.
Un giovedì di buon mattino, si ritrovarono nell'atrio della stazione Principe pronte per la nuova avventura, l'una con l'ansia di chi va verso l'ignoto, l'altra col timore consapevole del pericolo. A Dulce, Nora fu subito molto simpatica, nonostante quel suo modo di fare pratico e schivo di qualsiasi convenevole. Dulce, per Nora, era ancora una bambina, bisognosa di affetto, ma da ammirare per la sua grande passione d'amore.
Raggiunsero Ronco senza nessuna difficoltà, sebbene le stazioni fossero presidiate da tedeschi e da fascisti.
A Ronco salirono sul postale, un camion che risaliva tutta la Val Borbera. Con esse, salirono il parroco di Rocchetta, due anziani coniugi diretti a Còsola, un paio di donne che andavano dai parenti sfollati ed un signore anziano dall'aria intellettuale, curvo e stanco.
Verso mezzogiorno scesero poco più su di Albera, al bivio per Pobbio. Di li, un paio d'ore di salita, a piedi per ricongiungersi all'avamposto partigiano.
Si fermarono all'ombra di un castagno per mangiare qualcosa e ripararsi da un sole inclemente che appesantiva ancor più la salita. Durante la sosta, Dulce raccontò a Nora, con un italiano corretto dall'accento che tradiva la sua origine, la breve ma intensa storia d'amore con José. Nora aveva ascoltato in silenzio ed interesse. Non conosceva personalmente José, ma i compagni ne avevano parlato sempre con grande ammirazione.
Dall'alto la vedetta riconobbe la Nora, ma non riusciva a capire chi fosse la figura che seguiva. In pochi minuti tutti fuori a guardare con curiosità le due donne che si avvicinavano. Un avvenimento in quelle giornate di monotona attesa.
Giunsero presso l'avamposto con il passo pesante ed il fiato corto. Fu Nora che salutò e, indicando la sua compagna, fece le presentazioni.
Per Dulce ci fu delusione, quando seppe che José non era presente. Si era recato verso l'Antola convocato dal comando della brigata per concordare le future azioni, di fatto era il capo di quel manipolo così avanzato.
La delusione di Dulce fu subito colta dall'intuizione femminile di Nora, che premurosa rassicurò l'amica sul pronto ritorno di José e dei compagni con cui era partito all'alba.
All'imbrunire, dal versante opposto dove erano giunte le due donne, si scorsero la sagome di tre persone che avanzavano con passo sicuro. Man mano che salivano apparivano più nitide seppure il buio fosse più intenso.
Dulce era là, guardava i tre che avanzano senza tradire alcuna emozione, solo il suo cuore cominciò a battere fortissimo. Batteva come impazzito. Una sola volta le era capitato così, quando in vista del porto di Genova proveniente da Tunisi, appoggiata al parapetto del mercantile che la portava clandestina in Italia, scorse tra la gente sulla banchina José.
L'abbraccio fu lungo e appassionato come quel giorno.
José ignaro delle decisioni della sua donna non seppe trattenere le lagrime per la sorpresa, fu la prima ed unica volta nella sua vita.
La figura esile e minuta di Dulce Maria appariva ancora più fragile e piccola tra le braccia di José. Parlarono a lungo nella loro lingua, anzi nel loro dialetto, quasi volessero suggellare meglio quell'incontro tanto atteso.
Dulce o Isabel, fu subito nominata semplicemente "la pasionaria", omaggio dei compagni italiani alla più famosa partigiana iberica. Lei accettò compiaciuta il nuovo ruolo che il nome comportava. Si integrò subito nel gruppo, contribuì alla vita comunitaria occupandosi della cucina, del riordino dei giacigli, e di tenere sempre vivo del fuoco.
Passarono i mesi dell'estate e dell'autunno.
Furono mesi duri, ma accettabili. Alle giornate di attese, seguivano giornate di azioni fugaci che avevano l'unico scopo di distrarre l'attenzione del nemico. Ogni volta però, Dulce seguiva dall'alto gli uomini che partivano in missione, ed ogni volta li accompagnava con la preghiera, come le donne della sua terra coi mariti sul mare.
Giunse l'inverno.
L'inverno del '44. Il più duro di tutti.
Con l'inverno arrivò la neve, il gelo. I disagi aumentarono per tutti, per Dulce furono al limite della sopportazione.
Fu un inverno lungo e duro. La neve aveva sepolto più volte la casupola cancellando ogni traccia di vita.
Il costante pennacchio di fumo era l'unico segno vivo.
La tranquillità della vallata, in quel lungo e tedioso inverno, veniva rotta solo da qualche sporadica azione dei mongoli, che si erano attestati a Còsola e a Rocchetta.
Ogni tanto era necessario scendere a valle per rifornirsi di cibo e notizie. Le notizie erano preziose quanto il cibo, alimentavano le discussione, costituivano un legame col mondo, davano un significato alle cose senza tempo che il gruppo viveva lassù.
Ad un tratto irruppe la primavera.
Arrivò all'improvviso accompagnata dalle primule che a ciuffi macchiarono i prati. Poi toccò alle timide violette ed alle tenere margherite, ed infine ci fu l'esplosione di colori che la natura, incurante delle tragedie umane, riserva per sé.
Con la primavera arrivò anche la speranza che la guerra dovesse davvero finire da un giorno all'altro.
Un giorno, verso fine aprile, giunse l'ordine di lasciare l'avamposto e scendere a valle, per convergere nella zona di Pietrabissara e i Giovi, dove si stavano concentrando tutte le forze della valle Scrivia. Occorreva bloccare la ritirata dei tedeschi nel caso che questi avessero attuato le minacce, di far saltare porto che avevano minato da tempo.
La partenza fu preparata in fretta. Si incamminarono sgranati per la discesa con le armi e poche cose necessarie. Dulce col mitra a tracolla, lo zaino sul fianco, un fazzoletto rosso al collo ed i capelli al vento seguiva come un'ombra il suo uomo. La marcia lesta e ordinata, non trovò alcun ostacolo.
Arrivarono a Rocchetta dove un camion li avrebbe condotti verso Ronco.
Il comando delle forze tedesche del generale Meinhold è a Savignone, a pochi chilometri dalla camionale.
Sulla piazza mentre si aspetta una ridda di voci:
Pare che i tedeschi si arrendano. Hanno fatto saltare il porto. I gap hanno preso la casa dello studente. Sparano ancora da Monte Moro.
Hanno assaltato Marassi e liberato tutti i prigionieri politici.
Si arrendono.
No, resistono.
Da qua non passeranno.
I portuali sono insorti, anche all'Ansaldo, anche alla San Giorgio, anche a….
Il cardinale è in ostaggio. No, è lui che coordina la resa.
Il camion che porta i partigiani verso Ronco è stracarico. Dulce e Josè siedono a fianco, i capelli biondi di lei svolazzano al vento tiepido di quel pomeriggio di primavera.
La sera del 25 aprile, viene finalmente firmata dal generale Meinhold la resa tedesca nelle mani del Comitato Nazionale di Liberazione alla presenza del cardinale Boetto.
Il 26 aprile le truppe tedesche passano sulla camionale, in ritirata sconfitti e disarmati sotto gli occhi dei festanti partigiani.
Dulce, abbracciata forte al suo uomo, è là che saluta entusiasta, mentre una lagrima…………
Sono passati molti anni.
I capelli non sono più biondi.
Dulce Maria è rientrata nella sua isola alla morte del generalissimo Franco.
Vive sola, nella sua casa di Santa Brigida. Il suo uomo, il suo unico amore è rimasto in Italia, vittima di un banale incidente stradale a pochi giorni del rientro in patria.
E' rimasto in quella riviera che l'aveva accolto anni prima e per cui si era battuto.
Dulce Maria dà lezioni di letteratura, storia ed arte italiana.
Dal suo terrazzo ci indica l'incantevole giardino botanico, vanto della sua isola, mentre descrive gli anni trascorsi in Italia tra Genova, Roma, Firenze, Venezia ed ancora Genova.
Parla volentieri di quegli anni.
Ama ricordare i vicoli, i "carruggi", il freddo, le paure della clandestinità, il calore della gente del porto. Gli anni di esistenza felice del dopoguerra, vissuti d'amore intenso, anche se segnati da molte difficoltà economiche.
Ma soprattutto ama ricordare…….quell'ultimo aprile.
L’ultimo di guerra.
cuocoligure
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