L'azienda del latte( terza parte)
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da : Concerto di Sogni
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Stampato il:
22/12/2024
Tema:
Autore Tema: Gabriella Cuscinà
Oggetto:
L'azienda del latte( terza parte) Qualche giorno dopo, si trovava a bordo di una funicolare di San Francisco. Il conduttore suonava e la vettura era stracolma di passeggeri, molti dei quali erano aggrappati anche all’esterno. Si trovava appunto su una di queste e, tra le persone all’altro capo della vettura, ebbe l’impressione di ravvisare la fisionomia di Sebastiano. Ma nello stesso tempo era diverso, aveva capelli biondi, gambe agili e abiti eleganti. No, non poteva essere lui. Eppure il sembiante, i lineamenti erano gli stessi. Diego s’era sempre piccato d’essere buon fisionomista, e ora la sua curiosità era fortemente pungolata. Cercò, facendosi largo, di raggiungere l’individuo, ma l’impresa era ardua e non riusciva ad avanzare per la calca; allora diede qualche gomitata e riuscì a passare. Non appena gli fu dietro, avvertì l’odore di incenso che già conosceva. Quello si girò, lo guardò e trasalì. La sua vista era perfetta. Alla fermata successiva scese dalla funicolare e si dileguò. Diego non ebbe più dubbi che si trattasse dell’indovino. Fu colto dai dubbi più feroci: doveva o meno recarsi alla Polizia per denunciare quel millantatore? Non solo abusava e si prendeva gioco dell’ingenuità della povera gente, ma per giunta agiva sotto falso sembiante. Aveva una doppia personalità! Doveva denunciarlo! Mentre si avviava al distretto di Polizia più vicino, si sentì chiamare e salutare. Vide dinanzi a sé una ragazza italiana che aveva conosciuto durante il suo recente viaggio in Italia. Un tipo che amava viaggiare per il mondo. 13 14 15 Antony s’era affezionato a quel nonno adottivo e lo ricordava sempre con affetto. Adesso però, dopo il ritrovamento dei gioielli, si era messo a chiacchierare della sua vita di avvocato, mentre Luigi ed April erano andati fuori in terrazza ad ammirare la notte stellata. 16 Sentì suonare il cellulare e rispose. Era il cugino Riccardo che chiamava dall’Italia per comunicargli la morte del fratello Fernando, trovato cadavere nella casa di campagna. Diego li aveva frequentati da giovane e li ricordava con piacere. I ricordi! Ancora e sempre ricordi! Poteva credere che molti di essi fossero solo fantasie e distorsioni della memoria. D’altra parte succede a tutti che sembri talora non vero o irreale ciò che si è veramente vissuto. I ricordi somigliano ai sogni che, a dirla con il poeta Tibullo, nelle notti ingannevoli si prendono gioco di noi, fanno trepidare le nostre menti. Le cattive notizie per quel giorno non erano terminate. Difatti aveva da poco interrotto la comunicazione, quando udì suonare nuovamente il cellulare. Durante la lunga chiacchierata con il cugino, Diego era rimasto sdraiato sulla poltrona del suo studio. Ora rispondendo al cellulare sentì dire: -Pronto, sono un vicino di casa. Devo avvisarti che dal tuo villino vediamo fuoriuscire acqua a cascate.-
Inserito il:
15/04/2009 18:04:51
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La sua organizzazione era ormai molto conosciuta tra gli Italoamericani e un giorno ricevette una telefonata d’affari da un connazionale. Si chiamava Sebastiano e disse di essere paralitico; siccome si muoveva con difficoltà, lo pregò di andarlo a trovare a casa.
Un pomeriggio, Diego si presentò all’indirizzo indicatogli, entrò in un vecchio caseggiato fatiscente e bussò a una porta. Gli venne ad aprire la sorella dell’interessato, una donna dimessa. Da taluni indizi e taluni arredi dell’appartamento, capì che il suo proprietario faceva l’indovino. In quel momento era occupato con una cliente e la sorella l’informò che ogni giorno riceveva molte persone.
-Si accomodi prego, lei è Italiano come noi?- chiese. -Mio fratello appena possibile la riceverà.-
-Sì sono Italiano. Ne avrà per molto?-
L’altra fece l’atto di non saper rispondere e invece esclamò con tono esasperato: -Ho sempre sperato che Sebastiano smettesse di fare ciò che fa! Lo dico a lei che è un conterraneo.-
-Dunque non condivide l’operato di suo fratello?-
-Caro signore, ho avuto una premonizione! Mio fratello dovrebbe smettere.-
-Premonizione? Che premonizione?-
-I nostri genitori morirono molto giovani. Restammo soli e senza una lira. Siamo venuti qui in America e lui ha intrapreso questo mestiere assurdo. Abbiamo di che vivere, ma la mia coscienza è sempre angosciata poiché mi rendo conto di quanta gente venga turlupinata da mio fratello. L’altro giorno udii un movimento impercettibile alle mie spalle. Mi girai ed ebbi l’impressione di vedere mio padre. Udii la sua voce che ci rimproverava perché Sebastiano sta derubando il prossimo.-
-Ma sarà stata un’illusione! Una specie di allucinazione. Non ci pensi, non è possibile che abbia visto realmente suo padre.-
Nel frattempo, era uscita da una stanza una donna dall’aspetto misero e macilento. Diego venne invitato a entrare; Sebastiano era un tipo bruno, che emanava uno strano odore d’incenso, come se la sua pelle ne fosse impregnata. Immobilizzato su una sedia a rotelle, portava gli occhiali scuri poiché era anche cieco. Attorno a lui vi era trasandatezza e degrado, le pareti erano annerite e senza intonaco, i mobili ridotti all’essenziale. Fece accomodare Diego e parlò in Italiano dicendo: -Ciao. Ma tu sai perché noi Italiani salutiamo sempre con il ciao?-
-No, penso sia un modo dire, come per gli Americani salutare con hallo.-
-Macché! Sino a cento anni fa, in Italia dicevano solo arrivederci, addio, buongiorno, buonasera. Il ciao era diffuso solo in Lombardia che l’aveva preso dal Veneto, anzi dal dialetto veneziano, essendo infatti l’alterazione lombarda del veneziano s-ciao, in Italiano schiavo.-
-Schiavo? E perché schiavo?-
-Nel Veneto era forma di saluto reverenziale, come dire: schiavo vostro. Quindi da schiavo divenne s-ciao e poi ciao.-
-Ma guarda! Invecchio imparando cose nuove. Questo credo lo dicesse il poeta greco Solone.-
Diego seppe che aveva intenzione d’investire una certa somma di denaro e che desiderava avviare un’attività di commercio con l’Italia. Si chiese se quel denaro fosse stato guadagnato onestamente o piuttosto rubato alla povera gente credulona. Quell’uomo non gli ispirava fiducia, parlava con tono saccente e puntava su di lui i suoi strani occhiali neri. E poi Diego era sensibile al furto perpetrato verso chi è debole, dunque fu restio a concludere affari con quell’individuo. Si limitò a prospettargli talune possibilità ed eventuali settori di commercio. Si salutarono, senza avere concluso nulla di concreto. Quel personaggio bieco e ambiguo aveva risvegliato in lui strane sensazioni e ulteriori ricordi; gli tornarono in mente, come un’ossessione, le industrie del latte costruite sulle proprie campagne. Com’era stato possibile che un industriale del latte fosse riuscito ad accumulare un’enorme fortuna? Come aveva fatto realmente ad arricchirsi così tanto, operando in un settore con margini di utili limitati e con una fortissima concorrenza? Dietro quell’industriale dovevano esserci misteri nazionali a confronto dei quali i misteri di Parigi erano solo una barzelletta! Ricordava di aver letto sui giornali italiani che un dirigente di quelle aziende era stato arrestato perché, nella sua casa, erano state trovate attrezzature per lo scolorimento delle banconote da un dollaro e due matrici originali della zecca degli Stati Uniti. A tale notizia era stato dato poco rilievo. Ma nel cuore di Diego si era consolidata l’idea che gli Italiani per molto tempo, avevano bevuto un latte amaro, un latte rubato.
-Ciao Diego! Ti ricordi? Sono Sandra, un’amica di Luigi. Ci siamo conosciuti in aeroporto. Io partivo per il Messico.-
-Sì sì ricordo. Ciao. Come stai? Ti sei divertita in Messico?-
-Non ne parliamo! Non sono più andata. Non puoi immaginare cose m’è successo! Sono qui a San Francisco prima di rientrare in Italia.-
-Ch’è successo?-
-In aereo avevo chiesto l’auricolare ad una hostess per ascoltare la musica. Me lo diede e pretendeva che pagassi. Non mi era mai capitato di dover pagare per l’auricolare. Dunque non volevo darle i soldi. Allora me lo strappò dalle mani e cominciò ad urlare. Nella foga, ha urtato contro il mio anello e si è procurata una piccola ferita.-
-Sei stata protagonista d’una rissa in volo,- aveva detto Diego sorridendo.
-Ancora non hai udito nulla. L’hostess ha detto al capo steward che non volevo pagare e che per questo l’avevo aggredita. Prima di raggiungere il Messico, l’aereo ha fatto scalo a Filadelfia. Lì ad aspettarmi ho trovato i poliziotti dell’ufficio immigrazione che mi hanno ammanettato e lasciato in isolamento per qualche ora.-
-Ma stai dicendo sul serio?-
-Poi un’agente dell’FBI mi ha portato in un ufficio della Polizia di Filadelfia dove mi hanno preso le impronte digitali, scattato le foto segnaletiche e sbattuto in una cella. Io non riuscivo a capire cosa stesse succedendo.-
-Ma è incredibile!- Diego era esterrefatto.
-Dopo due giorni, con l’aiuto del viceconsole, sono stata rilasciata in attesa di giudizio e il giudice mi ha prosciolta, ma ti assicuro che non dimenticherò mai la rigidità delle autorità americane e ciò che mi hanno fatto.-
-Già, capisco. Un viaggio di piacere si è tramutato in tragedia. Mi spiace.-
Si erano salutati e Diego aveva cominciato a riflettere sull’intransigenza delle leggi americane. Pensava che se avesse denunziato Sebastiano, lo avrebbe rovinato. Sua sorella come avrebbe vissuto? Chi l’avrebbe aiutata? Decise di desistere e di farsi i fatti suoi. Le leggi americane erano assolutamente diverse da quelle italiane. E ancora una volta riaffiorarono i ricordi, pronti e vigili nella sua mente. Rivide una scena di molti anni prima: il figlio di un noto imprenditore italiano, cliente della sua concessionaria, fuggendo all’inseguimento della Polizia, aveva provocato un incidente mortale. Infatti la vettura delle forze dell’ordine era andata a sbattere contro un muro di contenimento. Morirono tutti gli agenti. I giornali avevano parlato di un tragico incidente accaduto ad una pattuglia in servizio, ma Diego conosceva la verità. Il suddetto rampollo era stato scagionato da ogni responsabilità e in seguito, le famiglie degli agenti deceduti erano state aiutate economicamente dal noto imprenditore.
Con l’età, Diego cominciava ad avere strani ripensamenti, a filosofeggiare di più, aveva rimorsi di coscienza e rifletteva cento volte prima di agire. Si diceva che era effetto dell’età che avanzava. Insomma si ritrovò a valutare se non fosse proprio il caso di andare a denunciare Sebastiano. La legalità andava rispettata in ogni paese. La sorella del manigoldo se la sarebbe cavata in qualche modo. Decise che l’indomani sarebbe andato alla Polizia. Ma non fece in tempo. Sui giornali del giorno successivo lesse che era stato arrestato un truffatore e sedicente indovino che simulava e si faceva passare per storpio e cieco. Era lui. Era Sebastiano che era stato portato in carcere perché ingannava i malcapitati clienti e rubava il loro denaro.
Luigi aveva continuato ad aspettare Rita. Invece la ragazza continuava a tergiversare e non si decideva a raggiungerlo. A nulla era valso l’ultimatum: o vieni o ci lasciamo. Lei non voleva lasciarlo, ma non voleva neppure andare in America.
Un mattino, si svegliò deciso a risolvere quel problema. Sarebbe ritornato in Italia per scoprire quale fosse la verità o cosa realmente la tenesse legata. Il suo animo era esacerbato, non ne poteva più di ascoltare sempre le medesime parole: -Sì verrò. Tra qualche tempo verrò.- E poi invece non arrivava.
In ufficio, lasciò le pratiche in ordine e ogni affare concluso. Disse al padre che andava in Italia e prenotò i biglietti dell’aereo. Diego biasimò il figlio perché, secondo lui, avrebbe già dovuto rompere quel legame, ma non sapeva che nella mente del ragazzo, l’intenzione era quella di fare l’investigatore.
Quando arrivò, dopo aver sorvolato l’Atlantico, Luigi prese alloggio in un albergo fuori mano. Nessuno doveva sapere che era lì. Noleggiò una autovettura e cominciò a seguire i movimenti di Rita. Ben presto si rese conto che la ragazza si recava in una casa di cura per malati mentali. Questo lo lasciò perplesso e non immaginò il motivo che la conducesse in quel luogo. S’intrufolò tra la folla dei visitatori e, di nascosto, pedinò Rita nei giardini della clinica per scoprire chi andasse a trovare. Con sua enorme sorpresa, la vide sedersi accanto a una ragazza che era del tutto identica a lei. Una copia conforme, assolutamente uguale, stesso sembiante e stesso fisico, solo che aveva l’aria assente e l’espressione vuota; teneva le mani abbandonate in grembo e muoveva la testa lentamente come una povera demente.
Il respiro di Luigi ebbe un moto di arresto. Sentì stringersi il cuore. La pena e la pietà lo immobilizzarono. Poi facendosi forza, si avvicinò a quelle due creature che si guardavano tristemente. Rita balzò in piedi appena lo vide e arrossì violentemente. L’altra ragazza restando seduta e inerte, lo guardò come se non lo vedesse. Con aria mesta e afflitta, la prima disse: -Luigi, questa è mia sorella gemella, si chiama Clelia ed è affetta da una forma di schizofrenia grave.-
-Non me ne avevi mai parlato,- fu la risposta. Ma il pallore gli rendeva il volto livido.
Il profumo del giardino riempiva l’aria; si udiva il rumore placido dell’acqua zampillante in una fontana e il vento frusciava lieve tra gli alberi. Rita e Luigi non si accorgevano di nulla. Si guardarono negli occhi, poi lasciando la povera ammalata, presero a passeggiare per i viali.
-Siamo state adottate. I nostri genitori ci presero da un orfanotrofio appena nate. Per questo non voglio abbandonarli, dopo quello che hanno fatto per noi. Non te l’ho mai detto perché altrimenti ti avrei dovuto parlare pure di Clelia.-
-Sarebbe stato meglio. Dovevi parlarmene.- Il dolore di Luigi era palpabile.
-Allora avrei dovuto dirti che per noi non ci sarà futuro, perché io non voglio figli per non generare una creatura malata come lei.-
-Ma è nata così tua sorella? Non è detto che abbia una malattia genetica.-
-Gli specialisti affermano che non sia un male ereditario, ma io ho paura lo stesso. Clelia cominciò a manifestare la malattia verso i dieci anni e da allora si è aggravata sino a divenire pericolosa per sé e per gli altri.- Lacrime silenziose rigavano il viso scarno di Rita.
-Ma sembra così calma e priva di reazioni!-
-E’ l’effetto degli psicofarmaci e dei sedativi.-
-Rita, speravi di tenermi per sempre all’oscuro di tutto? - Luigi era molto amareggiato.
-Sì, forse sì. Ma è meglio che tu l’abbia scoperto. Adesso ci diremo addio e non ci vedremo mai più.-
La ragazza guardò Luigi e s’abbracciarono, si tennero stretti piangendo. Il loro affetto era grande; adesso avrebbero dovuto decidere se continuare a vivere lontani da fidanzati, oppure lasciarsi per pensare ognuno a un diverso avvenire. In ogni modo vissero i giorni seguenti tubando come due colombe. Scoprirono che l’amore non può coesistere con il timore, perché ciò che si fa per amore, è sempre al di là del bene e del male. E quando Luigi ripartì per San Francisco, avevano deciso di restare insieme rinviando ogni ulteriore decisione per il futuro. Di sicuro non potevano restare solo amici. Si amavano troppo per essere solo amici, e avrebbero continuato ad amarsi oltre ogni ragionevole scrupolo.
A proposito di amicizia, la più cara amica di Rachele si chiamava Sandy e abitava in una villa a qualche isolato di distanza dalla sua. Era sposata da tanti anni con Alan e aveva due figli che vivevano lontano. Da parecchi mesi il marito era andato in pensione e lei non sopportava più in casa la sua presenza costante e invadente. Lasciava le pantofole dappertutto, mettevo il naso costantemente dentro le pentole. Non stava mai zitto, osservava e criticava ogni cosa fatta dalla moglie. Sandy non riconosceva più l’uomo schivo e silenzioso che aveva sposato. Non ritrovava più il signore che rientrava tardi dal lavoro e si toglieva le scarpe per non svegliarla; l’uomo che ammirava l’operato della moglie che spolverava i mobili, lavava e stirava. Adesso era divenuto un estraneo per lei; forse senza accorgersene, s’erano allontanati negli anni e parlavano troppo poco. Oppure erano stati troppo presi, lui dal lavoro, lei dai figli. Ma il ritrovarselo sempre tra i piedi era insopportabile, perché non si era mai accorta di quanto fosse pignolo. Tutto questo Sandy l’aveva confidato a Rachele e lei aveva consigliato di dare tempo al povero Alan di abituarsi alla nuova condizione di nullafacente. Poi improvvisamente aveva detto:
-Avevi un sogno nel cassetto, ricordi Sandy? Quando ti parlavo e ti raccontavo dell’Italia, la sognavi ad occhi aperti e dicevi che avresti voluto visitarla quando tuo marito fosse andato in pensione. Ecco, è arrivato il momento! Dovete partire! Il mio paese sa essere complice di chi si vuol bene. Là ritroverete l’armonia.-
Ormai però l’amica era delusa e demotivata. Non voleva partire; non certo con quell’uomo che non riconosceva più, e Rachele si rendeva conto che tra i due non c’era più dialogo, che tutte le loro confidenze erano rimaste sepolte sotto la routine, sotto l’indifferenza e la noia. Sandy diceva di avere buttato al vento quasi trent’anni della sua vita. Aveva pensato di essere una donna fortunata e adesso si sentiva sola e inutile. Allora per dispetto, aveva cominciato a lasciare la casa in disordine. La notte, prima di andare a letto, indossava camice sexy e però ignorava il marito; teneva alto il volume della radio, spolverava la televisione mentre lui guardava la partita di baseball.
Rachele aveva insistito: -Parlagli, spiegagli quello che hai sempre sognato e che ora potreste fare. Dovete confidarvi, Sandy, non potete continuare così!-
Poi una sera, mentre Diego e Luigi erano impegnati al lavoro, era rimasta a cena dall’amica. Avevano mangiato e chiacchierato del più e del meno, ma bevendo il vino, Alan aveva esclamato: -Questo vino fa schifo!-
-E’ l’ultima bottiglia rimasta in cantina,- aveva soggiunto Sandy.
-Sciocchezze!- aveva ribattuto lui.
-Vuoi scommettere?- aveva replicato la moglie.
Erano andati a vedere e Alan, spostando alcune bottiglie vuote, aveva tirato fuori delle bottiglie di vino rosso.
-Visto?- aveva esclamato trionfante, e la moglie avrebbe voluto ucciderlo. Tra i due erano volate parole grosse e insulti. Rachele era uscita da quella cantina umida e semibuia. Sandy aveva continuato a urlare, quindi aveva deciso di andarsene, ma si era accorta che la porta era bloccata. Aveva chiamato Rachele; niente, nessuna risposta. Il marito aveva cercato di sbloccare la serratura, ma inutilmente. Allora anche lui aveva chiamato Rachele, ma con lo stesso risultato.
-Se n’è andata stanca dei nostri strilli. Adesso ci faranno compagnia i topi,- aveva detto con aria rassegnata. -Ti ricordi quando ci siamo conosciuti? Mi sei saltata in braccio terrorizzata da un topo.-
La moglie l’aveva guardato rivivendo momenti indimenticabili e lui aveva continuato: -Eri giovane e bellissima. M’innamorai subito di te e continuo a innamorarmi ogni volta che ti vedo con quelle camice sexy. Ma tu non mi vuoi e non mi guardi, mi disprezzi perché sono diventato un buon a nulla. Allora sogno di partire con te e andare in Italia come dicevi tanto tempo fa.-
A notte fonda, Rachele era tornata, aveva aperto la porta della dispensa e li aveva trovati seduti a terra, vicinissimi, che si baciavano abbracciati.
-Mi spiace, vi ho chiusi dentro a chiave perché eravate insopportabili!-
-Grazie di averlo fatto. Non sai quanto ti siamo riconoscenti,- aveva detto Sandy -io e Alan presto partiremo per l’Italia.-
E così era stato. Felici e contenti i due si erano preparati per un altro viaggio di nozze, avevano fatto i bagagli e qualche giorno dopo, avevano preso l’aereo per la terra di Dante. Il volo però era stato presago di eventi spiacevoli. Infatti il servizio di catering aveva sbagliato la consegna e aveva caricato un solo tipo di pasto. Dunque per molte ore non avevano mangiato altro che spaghetti scotti. Erano atterrati nel bel mezzo di uno sciopero dei dipendenti aeroportuali. Naturalmente avevano fatto gli immancabili confronti, pensando che in America i lavoratori protestano e creano disordini, ma non vengono mai danneggiati gli altri cittadini. I servizi negli States non erano mai sospesi o annullati. Rinunziando all’aereo, avevano preso il treno per compiere il tragitto Milano Roma, ma a causa di uno sciopero delle ferrovie, avevano assistito a scene disgustose: famiglie provenienti dalla Germania che non sapevano cosa fare e dove andare; viaggiatori che venivano sballottati da un ufficio all’altro con informazioni discordanti.
A questo punto Alan aveva proposto, come mezzo di locomozione, un’auto presa a nolo. Si sarebbero recati a Roma percorrendo l’autostrada. Non l’avessero mai fatto!
Rachele aveva appreso la ferale notizia da un telegiornale, che parlava di un cittadino statunitense morto in un tremendo incidente su una autostrada italiana. Il nome era quello di Alan! A quanto pareva, un pirata della strada aveva causato il disastro; sull’auto viaggiava una coppia di Americani e il conduttore che era morto sul colpo. La vettura aveva sbandato e si era ribaltata. La donna era stata ricoverata con contusioni multiple, ma non era grave.
Un vecchio adagio recita: <Tra moglie e marito non mettere il dito> e proprio a questo pensava Rachele, disperata, rimpiangendo il momento in cui s’era intromessa negli affari dell’amica. Se non l’avesse fatto, probabilmente i due non sarebbero partiti e il povero Alan sarebbe stato ancora vivo.
I due figli di Sandy erano Antony che lavorava in uno studio legale a Boston ed April che insegnava in una scuola a Detroit. Quando appresero la terribile notizia, provarono una disperazione infinita e un senso di angoscia impotente. Non riuscivano a credere che una cosa del genere fosse capitata ai loro genitori, proprio al loro papà. Decisero di partire immediatamente per l’Italia. La madre era stata ricoverata in un ospedale di Roma e giudicata guaribile in dieci giorni. Era lucida e non aveva mai perso conoscenza. Quando aveva capito che il marito era morto, aveva avuto crisi tremende e collassi; poi s’era chiusa in se stessa e aveva chiesto di poter trasportare la salma di Alan a San Francisco. Infatti dopo circa due settimane, Sandy tornò a casa insieme ai figli al seguito di una cassa funebre blindata. Quella sciagura era stata un’esperienza terribile e sconvolgente e la poverina ne portava i segni nel corpo e nell’anima. Aveva ancora delle ecchimosi sul volto e camminava a stento perché avvertiva dolori e indolenzimenti ovunque. Sapeva di aver perso il marito per via della cattiveria e della dabbenaggine umana e provava un abbattimento profondo, si sentiva svuotata e incapace di reagire. Pensava che raramente alla crudeltà degli uomini manca l’accortezza; nel caso di Alan, s’era accompagnata l’indifferenza ed era stato vittima della imperizia di uno sconosciuto che difficilmente sarebbero stato identificato e punito. Infatti chi aveva causato l’incidente era fuggito e non aveva prestato soccorso.
Nella sua casa ebbe luogo un funerale molto sontuoso. Sandy e i figli piansero inconsolabili; restarono immobili a salutare e a ricevere le condoglianze dei convenuti. La notte successiva restarono svegli fintanto che il sonno recò un breve oblio ai loro animi esacerbati.
Rachele era stata accanto all’amica e aveva cercato di confortarla in qualche modo, ma si era accorta che era come intontita e confusa. A stento ricordava le cose e aveva lo sguardo vacuo e spento. Anche Diego e Luigi avevano partecipato all’esequie e avevano rivisto i figli del defunto. Non li vedevano da alcuni anni e li trovarono distrutti dal dolore.
Antony ormai viveva a Boston e spesso aveva inviato delle e-mail al padre raccontando le sue esperienze. Gironzolando per casa, trovò il computer, lo accese e si accorse che il genitore aveva conservato tutto ciò che gli aveva scritto. Gli occhi gli s’inondarono di lacrime e provò una grande nostalgia per quel padre sempre affettuoso e premuroso. La madre lo trovò mentre piangeva in silenzio.
-Basta figlio mio, non piangere più, il dolore ti ucciderà!-
-Parli proprio tu mamma, che sembri un fantasma.-
-Devo continuare a vivere per voi. Sono viva e avrete sempre una madre.-
-Sì e ringrazio Dio per questo, ma mio padre era unico. Era il mio punto di
riferimento, il mio idolo!-
-Coloro che amiamo non muoiono mai, Antony. Tuo padre sarà sempre con te perché sarà sempre vivo nel tuo cuore. So che è una frase fatta, ma è la verità e se guarderai dentro di te, lo ritroverai sempre.-
Antony aveva soggiunto: -Quando avevo quindici anni, collezionavo monete antiche di tutto il mondo. Ero divenuto un esperto numismatico e avevo una collezione di un certo valore. Papà la fece sparire perché tralasciavo di studiare.-
-Ricordo. Tu non hai protestato e hai studiato con maggiore impegno.-
-Per me tutto quello che diceva era sacrosanto. Voleva che diventassi avvocato e così è stato. Ma a proposito, sai per caso dove aveva nascosto la mia collezione?-
-No Antony, mi spiace, in tanti anni non me l’ha mai detto. Anzi adesso che ci penso, non ricordo neppure dove mi disse, prima di partire, che avrebbe nascosto i miei gioielli.-
-Cosa? E dove sono? Li hai trovati? Avevi dei grossi brillanti della nonna.-
-No, non li ho ancora trovati. Tuo padre era abilissimo a far scomparire tutto.-
A questa conversazione si era aggiunta April: -Cosa non trovi mamma?-
-I miei gioielli. Tuo padre mi aveva detto di averli nascosti per prudenza, ma non ricordo in che posto mi disse.-
-Sei ancora provata dal trauma. Vedrai che a poco a poco ricorderai e comunque cercheremo.-
Trascorsero invece i giorni e Sandy non ricordava e per di più i figli avevano cercato in tutta la casa senza trovare nulla.
Una sera Diego e famiglia li andarono a trovare. Tra una discussione e l’altra, venne fuori la faccenda dei gioielli scomparsi. Sandy asseriva che si trovavano da qualche parte nella casa, ben nascosti e introvabili, poiché la mente genialoide del suo povero Alan era capace di escogitare i nascondigli più impensati. I figlioli dal canto loro, avevano cercato negli angoli più remoti dell’appartamento e lo avevano messo a soqquadro, senza risultato.
-Ma cosa ti ha detto prima di partire?- chiese Diego -Ti ha detto che li avrebbe messi in cucina, in bagno, nello spogliatoio, dentro il forno? Di un posto ben preciso avrà pure parlato!-
-Sì, certo, ma è proprio quello che non riesco a ricordare. Solo rammento che gli dissi che in quel posto, mai nessuno li avrebbe trovati.-
-E a quanto pare, è proprio così. Ascolta Sandy, qual è un posto strano di questa casa? Un luogo impensabile?-
-Oh Diego! Ma che ne so! Se lo sapessi, se ricordassi, sarei già andata a recuperare i miei gioielli che sono tutti di enorme valore.-
-Io ho cercato pure in cantina tra le bottiglie e in soffitta tra le scartoffie,- aveva detto Antony.
-Io invece ho guardato nei posti più impensabili e negli angoli più nascosti,- aveva affermato April.
-E io, povera me, ho setacciato tutti gli armadi e i cassetti di questa casa,- aveva soggiunto la madre.
Diego adesso pareva assorto. Aveva lo sguardo lontano e non li ascoltava più. Alan era stato suo amico, lo ricordava sornione e pronto all’ironia. Talora intento a costruire modellini di navi e velieri. Una volta gliene aveva regalato uno, sapendolo appassionato di vela. Provava molta tristezza pensando che non c’era più, che non l’avrebbe più rivisto. Poi s’immobilizzò. Balzò dalla poltrona dove era sprofondato ed esclamò:
-I modellini! Dove sono i modellini?-
-Dove sono sempre stati,- rispose April -sulle mensole della libreria, ben disposti e allineati.-
-Avete guardato dentro di essi?-
-Dentro? No. Non si può,- aveva asserito Antony -non si aprono.-
-E chi te l’ha detto?-
-Diego, ma come vorresti aprire un modellino di veliero?-
-Sandy ha detto che suo marito era genialoide, quindi secondo me, hanno lo scafo vuoto e apribile.-
A questo punto, anche Sandy si era alzata e gridava: -Ha ragione! Là dentro! Un modellino! Alan mi ha detto là dentro.-
Antony era corso avanti e già si trovava dinanzi alla libreria. Sollevato sulle punte dei piedi, stava prendendo i modellini. Ce n’erano di varie dimensioni, alcuni erano vecchi e realizzati molti anni addietro. Mentre li soppesava, Antony si accorse che due modellini erano più pesanti degli altri. Li posò su un tavolo dicendo: -In questi due c’è dentro qualcosa.-
Gli sguardi degli altri s’illuminarono. Rachele volle aprirli, anche a costo di distruggerli. Diego era certo di poterli disserrare senza rovinarli.
-Sì, ma come?- chiese April.
-Bisogna esaminarli. In qualche modo tuo padre avrà previsto di aprirli senza distruggerli.-
E se si trattasse di un lavoro ad incastro?- aveva suggerito Antony. -Quando ero piccolo, ricordo che costruivo dei pupazzi di legno ad incastro.-
Diego studiò il primo, lo esaminò attentamente, lo girò tra le mani, lo rigirò e poi lentamente cominciò a disgiungerlo, separando la parte superiore incastrata in quella inferiore. Tutti gli occhi erano puntati su di lui e sul modellino. Ne venne fuori un sacchetto pieno di monete.
-La mia collezione!- esclamò Antony -Ecco dov’era finita!-
Poi sempre cautamente, Diego applicò la medesima tecnica sul secondo modello. Ne venne fuori un altro sacchetto contenente i gioielli di Sandy, che disse con le lacrime agli occhi: -Mio marito era proprio un genio!-
Erano tutti contenti e soddisfatti di aver svelato quell’enigma, ma Diego ne aveva il merito principale. Antony lo guardò e gli diede una manata sulla spalla: -Grazie, sei in gamba. Ma come hai fatto a pensare ai velieri di mio padre?-
-Credo sia stata una pura casualità e un colpo di fortuna. Stavo pensando proprio a quando Alan mi regalò un modellino.-
-Papà aveva un cuore d’oro e poi aveva spesso delle trovate particolari, come quella del nonno adottivo, ricordi?-
-Come dimenticare! Avete donato un po’ di felicità al vecchio Tom, il nonno adottivo. -
Infatti i genitori di Sandy e del marito erano morti e i figlioli si erano lamentati spesso che tutti i compagni avessero almeno un nonno e loro invece nessuno. Allora Alan aveva messo un annuncio sul giornale in cui si chiedeva a una persona molto anziana e sola di essere adottato come nonno. Avevano risposto alcuni uomini e donne anziani, naturalmente soli e bisognosi di compagnia. Tra tutti, Antony ed April avevano scelto Tom, che poi era vissuto nella loro casa per tutto il resto della loro giovinezza. Era morto quando i ragazzi erano andati via per studiare al college.
A Diego il nonno adottivo aveva narrato di essere, come lui, un Italiano emigrato in America. Era rimasto solo poiché gli erano morti l’unico figlio e la moglie. Aveva abbandonato il proprio paese per via di una banca che l’aveva rovinato e gli aveva fatto perdere la casa. Un giorno, gli aveva raccontato tutta quella spiacevole vicenda:
-Moltissimi anni fa acquistai in Italia un appartamento. Il palazzo era stato costruito da una cooperativa e io e mia moglie prendemmo le dovute informazioni presso diverse banche. Tutte furono concordi nell’assicurare la solidità della cooperativa e l’assoluta correttezza dei suoi amministratori. Dopo due anni, la cooperativa fallì e venne richiesto dal tribunale l’annullamento dei rogiti. Chi come me, aveva acquistato in contanti, è riuscito, dopo anni di cause e spese legali, a rientrare in possesso del proprio appartamento, senza per altro poterlo utilizzare perché sotto sequestro; chi invece aveva versato una quota e aveva acceso un mutuo, si è trovato a dover ricomprare la proprietà proprio da quella banca che gli aveva dato tutte le garanzie possibili. Ma è bene chiarire che la mia casa è stata sotto sequestro per moltissimi anni sotto la tutela dello Stato, e ogni qualvolta si voleva entrare nell'appartamento, bisognava essere accompagnati dai Carabinieri che dovevano consentire lo strappo dei sigilli. Nei primi anni, ogni tanto si andava per controllare lo stato dell'abitazione; poi, con il passare del tempo, più o meno tutti i condomini hanno rinunciato a recarsi in visita, anche per non avere il dolore di vedere il palazzo in abbandono. Il risultato fu che lo Stato, che avrebbe dovuto garantire il controllo del palazzo, lo ha lasciato degradare e i Carabinieri non si sono più preoccupati di controllarlo. Una volta dissequestrato, ci ritrovammo tutti con gli appartamenti distrutti, il centro sportivo annesso trasformato in rifugio per le pecore e completamente ricoperto di escrementi. Il mio appartamento fu utilizzato probabilmente dai pecorai che vi hanno acceso un fuoco e vi hanno cucinato delle galline, i bagni sono stati usati in modo tale da non poter essere più recuperati, pieni di bruciature di sigaretta e sporchi da fare ribrezzo.
Avevamo fatto causa allo Stato per la mancata tutela dei beni posti sotto la sua responsabilità, ma il risultato quale fu? Niente. Nessun risultato. Non abbiamo ottenuto nulla. Ecco perché decisi di lasciare l’Italia.-
-Sapete che mi è capitata tra le mani una causa davvero strana?-
-Ah sì?- aveva detto Diego.
-Racconta,- aveva aggiunto Rachele.
-A Boston mi venne a trovare anni fa, un uomo imputato di spaccio di droga. Diceva di essere stato accusato ingiustamente e incastrato perché voleva riacquistare il diritto di stare con la propria figlia. Era divorziato e la moglie aveva un nuovo compagno.-
-E che c’entrava la droga?- fece Sandy.
-Fu trovata della cocaina nella sua auto il giorno stesso in cui aveva rifiutato di firmare il passaporto della figlia, la quale doveva andare a vivere in Messico con la madre e il ganzo di costei.-
-E tu cosa hai scoperto?- La curiosità di Diego si era risvegliata.
-Dopo molte indagini e dopo che quello sventurato aveva trascorso alcuni mesi in carcere, riuscii a capire che la cocaina dentro la macchina ce l’aveva messa la ex suocera.-
-Accidenti! La madre di lei?- aveva esclamato Rachele.
-Sì, proprio lei. Per ripicca e per consentire alla figlia di agire liberamente, aveva cercato di distruggere l’esistenza del mio cliente, senza curarsi del fatto che rappresentava comunque il padre di sua nipote.-
-Uno schifo!- Sandy era sconcertata. -Non capisco come si possa arrivare a tanto!-
-Taluni sono crudeli,- aveva osservato Diego, -fanno come faceva Hitler, cioè si sono abituati a essere crudeli restando con la coscienza pulita. Probabilmente quella nonna s’era convinta di agire per il bene della nipote.-
-E il padre ottenne di poter stare con la figlia?- chiese Rachele.
-Sì, quando vincemmo la causa, la bambina fu affidata al padre. La ex suocera e la moglie furono condannate.-
Antony si era reso conto d’avere suscitato l’ammirazione dei suoi ascoltatori e continuò a narrare: -Quando ero all’università, il professore ci diede un questionario. Essendo un buon alunno risposi prontamente a tutte le domande fino a quando arrivai all'ultima: <Qual è il nome di battesimo della donna delle pulizie dell’ateneo?>
Sinceramente mi pareva proprio uno scherzo. Avevo visto quella donna molte volte, era alta, capelli grigi, avrà avuto cinquant’anni, ma come avrei potuto sapere il suo nome di battesimo?
Consegnai il mio test lasciando questa risposta in bianco e, poco prima che finisse la lezione, domandai se l’ultima domanda del test avrebbe contato ai fini del voto.
-E’ chiaro!- rispose il professore. -Nella vostra carriera voi incontrerete molte persone. Hanno tutte il loro grado d'importanza. Esse meritano la vostra attenzione, anche con un semplice sorriso o un semplice saluto -
Non dimenticai mai questo insegnamento ed imparai che il nome di battesimo della donna delle pulizie era Marian.-
Nel frattempo sulla terrazza, Luigi ed April scherzavano e contemplavano le stelle. Quando era piccola, lei era stata innamorata segretamente di lui e ora ricordava quei tempi ridendo di se stessa. Però continuava a essere attratta da quel ragazzo muscoloso e aitante. April somigliava molto a Rita, la fidanzata di Luigi, e questo l’aveva colpito. La ricordava giovanissima e diversa da ora. Era divenuta una bel tipo, non molto alta, ma aggraziata e armoniosa nelle forme. Bruna, con i capelli appena ondulati. Non si truccava e risultava molto semplice anche nell’abbigliamento, che era comunque sobrio e di gusto.
-Sei fidanzata April?- aveva chiesto.
-No perché sono stata sempre innamorata di te e quindi non ho trovato nessuno che potesse sostituirti ah ah ah ah.- Aveva riso allegramente, ma come accade di solito, scherzando, aveva quasi detto la verità. Naturalmente in quegli anni aveva avuto varie storie e vari fidanzati, ma nessuno mai era durato a lungo.
-Tu sei legato a un’Italiana, vero Luigi?-
-Sì, la mia ragazza abita in Italia e l’ho conosciuta mentre studiavo là. Non ci crederai, ma ti somiglia moltissimo.-
-Ma va’! Davvero? Dunque ti piaccio pure io ah ah ah ah.-
Lui stava pensando intanto a Rita. Alla sua poca sincerità verso di lui e si accorgeva che il ricordo di lei andava sfumando nella mente. Come se qualcosa, nel frattempo, gli avesse suggerito che Rita doveva essere più onesta. Adesso aveva davanti April che gli ricordava la fidanzata lontana, ma nel contempo, destava maggiore fiducia, faceva sperare orizzonti migliori e insomma, lo metteva di buon umore.
-Dai su, Luigi, rientriamo. Tanto al solo pensiero della tua amata ti sei intristito.-
Rientrarono e trovarono gli altri che ancora conversavano.
-Dunque,- stava dicendo Antony a Diego -ti sei dato da fare anche come intermediario benefico per i tuoi conterranei.-
-Già,- rispondeva quello -ho l’impressione che qui in America abbia fatto spesso il nume tutelare per molti Italiani e per qualche Europeo.-
-Papà- continuò Antony- mi raccontò una vecchia leggenda pellerossa della tribù dei Kiowa, secondo cui esistevano delle tribù molto lontane tra loro e separate da montagne, che mai si sarebbero potute incontrare. Allora i loro spiriti protettori, per aiutarle, utilizzavano le forze della natura per spingere verso loro quelle migrazioni di popoli che avrebbero poi generato conoscenza e mutuo soccorso.-
-Ecco appunto!- aveva esclamato Diego -io sono uno spirito protettore della tribù degli Italiani, ah ah ah ah.-
Era trascorso qualche mese e un giorno Rachele udì alla televisione che in Italia avevano liberato il famoso industriale del latte. Dicevano che dopo quasi un anno di carcere, sarebbe tornato libero poiché erano scaduti i termini della custodia cautelare. Pensò a suo marito e al suo odio inveterato, sapeva che quel sentimento aveva avvilito e amareggiato la vita di Diego, quindi fu tentata di non riferirgli la notizia. Poi rifletté che sarebbe stato inutile, tanto in un modo o nell’altro, l’avrebbe saputo. Rachele riconosceva che l’odio genera tristezza e abbattimento e invece suo marito era una persona solare, che aveva saputo costruirsi un’esistenza nuova e agiata a dispetto di tutto e di tutti. Forse anzi, avrebbe dovuto ringraziare quel signore del latte per essere stato spinto a crearsi una vita diversa e la possibilità di conoscere il mondo. A Diego l’odio era servito. Da esso erano nate forse tutte le sue idee.
Mentre la moglie rimuginava tali cose, il marito nel suo ufficio, ascoltava un amico italiano che gli stava comunicando la medesima notizia e rifletteva che quell’industriale era stato un furbo che aveva approfittato delle occasioni offertegli dall’andazzo del Bel Paese. Paese di santi, poeti, naviganti, artisti, inventori, corrotti e corruttori! Pensava che l’uomo del latte rubato, a parte le prime furberie e le modalità di creazione del suo impero, fosse stato negli ultimi anni, una pedina nelle mani di banchieri pronti a qualsiasi nefandezza in nome del dio denaro. Le banche avevano l'abitudine di fornire informazioni false sulle aziende per cui s’erano esposte, garantendo sicurezza nell’acquisto di azioni e in operazioni bancarie, per poi negare, quando le aziende fallivano, qualsiasi coinvolgimento e cercando in ogni modo di far rientrare i propri crediti, a scapito delle famiglie che si erano fidate delle loro assicurazioni. Un’arma spesso usata dai banchieri era il ricatto e molte industrie per sopravvivere accettavano compromessi pericolosi che spesso servivano solo a ritardarne il crollo. Era giusto tutto ciò? No! pensava Diego. Era assolutamente ingiusto! Ma poi ricordò quel che diceva Platone a proposito, e cioè che giusto altro non è che l’utile del più forte. Dunque le banche agivano nel proprio interesse e per non fallire esse stesse. Erano forti e più forti dovevano divenire agendo secondo quello che a loro pareva giusto.
Tutto sommato l’aver perso le terre del nonno cedute all’industria del latte, aveva comportato per lui uno stimolo ad andare a lavorare in America e questa era la vera ragione della sua agiatezza e della sua fortuna.
Riccardo aveva raccontato che gli inquirenti stavano conducendo indagini per stabilire se si fosse trattato o meno di suicidio, poiché Fernando era stato trovato impiccato con le mani legate. Diego lo rammentava bambino, molto timido, bravo a scuola e restio a seguire i giochi violenti di Riccardo. Attento ad ascoltare la madre che raccomandava di non sudare e di non ferirsi nei boschetti in cui si fingevano esploratori. Terminati gli studi inferiori, Fernando aveva frequentato con ottimi risultati il liceo e si era quindi iscritto alla facoltà di Economia, con l'obiettivo sicuro di un ingresso in banca, appena laureato. Nel tempo libero, frequentava con il fratello l’ambiente parrocchiale ed essendo un bel fusto, non aveva avuto problemi con le ragazze che se lo contendevano e prendevano l’iniziativa per vincere la sua timidezza. In quel periodo felice, si stava per abbattere sulla sua vita un terribile tornado: il curato della parrocchia era stato trasferito e al suo posto era arrivato un prelato giovane e anticonformista. Aveva subito impressionato i ragazzi per la differenza di comportamento rispetto al suo predecessore. Non era più il ‘Don’ consigliere cui rivolgersi nei momenti di crisi, ma il compagno di divertimenti e l’organizzatore di eventi nuovi e stimolanti. Purtroppo il suo vero fine non era quello di consolidare nei ragazzi la fede cattolica. Era invece quello di conquistarne la fiducia per poi iniziare un opera di indottrinamento politico estremo. Il risultato fu che Riccardo, come altri ragazzi, aveva abbandonato la frequentazione delle attività parrocchiali. Fernando invece, era rimasto scioccato dalla nuova visione della società che gli veniva prospettata dal parroco. In breve tempo, si allontanò dagli amici, lasciò gli studi e la famiglia e andò a vivere lontano, portando con sé solo i libri che il sacerdote gli aveva regalato. Era maggiorenne al momento della partenza e quindi la famiglia non poté trattenerlo. Il padre disperato, si rivolse ad un’agenzia investigativa e venne a sapere che si era trasferito presso una comunità. Lavorava saltuariamente e con i soldi guadagnati si era iscritto alla facoltà di Scienze Politiche. La cosa lo tranquillizzò parzialmente, fino a quando il figlio non venne coinvolto in manifestazioni violente e arrestato per resistenza alla Polizia e danneggiamenti.
Fernando proseguì nel suo attivismo avendo a che fare con la giustizia in numerose occasioni, sempre a causa delle sue attività politiche. Non finì gli studi universitari e rimase lontano dalla famiglia senza dare notizie per molti anni. Un bel giorno ritornò a casa, chiedendo il permesso di ritirarsi nella tenuta di campagna. Naturalmente i genitori lo trattarono come il figliol prodigo e il fratello fu felicissimo di averlo ritrovato. Adesso il fatto che si fosse impiccato con le mani legate aveva l’aria di un messaggio, quello cioè di non poter proseguire una vita di stenti.
Balzò su come una molla.
-Che! Cosa! Come? Ah! Arrivo.-
Schizzò fuori dall’ufficio e si precipitò in auto verso casa. Non era mai stato un automobilista spericolato, ma in quel caso stava infrangendo tutte le regole del codice della strada. Procedeva ad andatura molto elevata. Però mentre correva, tra una curva e l’altra, ebbe l’impressione di sorpassare la vettura di suo figlio Luigi in compagnia di April. Arrivando nei pressi della sua villetta in collina, vide scorrere rigagnoli nel bel mezzo della via. Posteggiò e s’accorse che dal suo appartamento veniva fuori acqua a fiumi. Quando entrò in casa, fu investito da una specie di torrente! Doveva capire da dove provenisse il flusso per cercare di arrestarlo. Dalla zona del bagno, il rumore era più forte. Si diresse da quella parte e capì che qualcosa doveva essersi rotto. Difatti da un rubinetto fuoriusciva un getto poderoso. Diego pensò immediatamente di chiudere la valvola principale affinché l’acqua non scorresse più. Fatto questo, il flusso s’arrestò, ma l’appartamento era interamente sommerso e i tappeti navigavano. Bisognava buttare fuori tutta l’acqua. Lo fece e quando alla fine la casa era abbastanza asciutta, scivolò e finì a gambe all’aria. Nel ricadere, batté il capo a terra e rimase svenuto.
Dopo qualche tempo vide, attraverso una nebbia, due paia di occhi che l’osservavano ansiosi e preoccupati. Erano Luigi ed April.
-Papà come ti senti? Come stai?- diceva il primo.
-Diego, stai tranquillo, fra breve arriverà il medico,- incalzava la seconda.
L’avevano adagiato su un divano. Dopo un quarto d’ora, un amico dottore lo visitò e lo esaminò in tutto il corpo. Gli diagnosticò delle forti contusioni alle costole e un ematoma alla nuca, ma per il resto era a posto. Aveva bisogno di riposare e di non muoversi per qualche giorno. Ricordò di aver visto i ragazzi in auto e capì che erano diretti verso casa. Perché? Forse Luigi era stato pure avvisato del disastro? E allora per quale ragione April si trovava con lui? No, pensò Diego, quei due si stavano recando alla villa per poter stare soli e in santa pace. Essi infatti si frequentavano da qualche tempo molto spesso. Avevano pensato di poter essere solo amici, escludendo ogni coinvolgimento sentimentale. Ma l’amicizia tra uomo e donna è una cosa difficile da realizzare. Una realtà bellissima se davvero si concretizza, però ardua da portare avanti. Le amicizie più salde sono quelle tra persone dello stesso sesso e raramente si formano tra sessi diversi. Tra l’altro, bisognerebbe tenere le amicizie in continuo restauro, quindi a quelle tra uomo e donna bisognerebbe fare un perenne lifting. In poche parole, il sodalizio amichevole tra Luigi ed April era stato di breve durata. Ben presto l’antico amore della ragazza s’era riacceso e non poteva fare a meno di dimostrarglielo, pur non volendo. Arrossiva se lui le faceva qualche complimento scherzoso, si ritraeva se le prendeva la mano. Ma che amica era? Era innamorata e Luigi lo capiva e lo sapeva perfettamente. Ora, siccome il richiamo dei sensi e ogni femminile propensione amorosa non lasciano gli uomini indifferenti, anche il ragazzo aveva iniziato a subire il fascino di April e del suo amore. Tra l’altro gli ricordava la sua fidanzata italiana, la sua semplicità e modestia che sempre l’avevano coinvolto. April era più sincera, più spontanea, forse più graziosa. Lo amava da sempre e non gli aveva mai mentito. Rideva spesso e lo faceva divertire con il suo umorismo innato. Come resisterle? Allora anche Luigi aveva cominciato a fare il cascamorto, sin tanto che non erano caduti l’uno nella braccia dell’altro. Aveva inviato diverse e-mail a Rita e le aveva fatto capire che le cose, tra loro, purtroppo non potevano più durare, che s’era innamorato di un’altra. Dunque l’aveva lasciata.
Dal suo letto di dolore, Diego aveva chiesto: -Luigi, cosa c’è tra te ed April?-
-Stiamo insieme, papà,- aveva risposto il figlio.
-E Rita in Italia?-
-L’ho lasciata. Le ho detto la verità e l’ho lasciata.-
Il padre non aveva detto più nulla e aveva riflettuto che la gioventù moderna agisce in questo modo, senza inibizioni e con la massima libertà di azioni e decisioni. La gioventù! pensava Diego. Beata gioventù che non torna più! E’ il periodo migliore della nostra vita. La nostra breve primavera, l’età delle follie e delle illusioni.
Nel frattempo April era rimasta a San Francisco e non era più andata a lavorare a Detroit. Durante la degenza di Diego, sovente si recò nella loro casa e lo aiutò mentre era ancora invalido e sofferente. Si era conquistata la simpatia e l’affetto di Rachele che vedeva finalmente il figlio felice e sereno.
Gabriella Cuscinà
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