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7 Marzo 2003

Stampato da : Concerto di Sogni
URL Tema: https://www.concertodisogni.it/mpcom/link.asp?ID ARGOMENTO=3609
Stampato il: 22/12/2024

Tema:


Autore Tema: Occhiverdi
Oggetto: 7 Marzo 2003
Inserito il: 20/03/2003 11:55:39
Messaggio:

APPUNTI DI VIAGGIO

La sveglia, che accuratamente avevo impostato la sera prima, non è ancora suonata.

C’è silenzio in camera, dalle persiane semichiuse, entra un filo di luce, il lampione davanti a casa è ancora acceso. Guardo l’ora, ancora tre minuti, e poi per il lampione sarà la fine del suo lavoro notturno, mentre per me l’inizio di questa giornata: sono le 6:27.
Tre minuti, per fare a mente un veloce riepilogo di tutto ciò che mi servirà in questi prossimi giorni; tre minuti per fare una veloce lista di quello che ho messo e di quello che manca nella mia valigia.
Il silenzio. Finisco appena di pensare che manca solo lo spazzolino da denti e il dentifricio, gli ultimi ad essere chiusi nel beauty prima della partenza, ed ecco puntuale la radiosveglia; stamattina a darmi il buongiorno è una giovane donna, che con la sua voce, chiara e squillante prosegue la sua carrellata di canzoni; pochi secondi, il silenzio torna nella mia camera; sono le 6:30, è ora di iniziare a vivere la mia giornata. Allungo tutti i miei muscoli ancora assonnati, lascio che la stanza si svuoti di quelle ore di sonno appena trascorse, le quattro pareti che hanno fatto da testimoni al mio riposo, che hanno visto la stanza popolarsi di personaggi che entravano ed uscivano dalla mia testa, ora vengono rischiarate dalla persiana che si apre; la luce entra appena, il sole sta piano piano prendendo posto nel cielo.
Bevo un caffè, faccio una doccia, infilo quei comodi pantaloni neri e quel caldo maglioncino, chiudo la valigia, dopo aver sistemato lo spazzolino da denti e il dentifricio. Metto il cappotto, quello più leggero, le previsioni del tempo erano a favore; è ora di uscire. Sono le 7:27 quando esco di casa, e le 7:41 quando raggiungo la stazione. Studenti, lavoratori, gente d’affari; chi di corsa, con passo affrettato verso il binario dal quale partirà, chi tranquillo; quel signore immerso nei suoi pensieri sorride, lo sguardo perso nel vuoto; due ragazzi conversano tra loro, zaino in spalla, i segni del sonno ancora sul viso; l’attenzione è attirata da una signora che seduta sulla panchina legge il suo quotidiano, dalla grande borsa di paglia che ha con se spunta il musino curioso di un cagnolino, spaventato forse da tutto il trambusto.
Dall’altoparlante arriva l’annuncio: il treno è in arrivo, sono le 8:00. Puntuale, eccolo che arriva in tutta la sua maestosità; rallenta fino a fermarsi. Sono fortunata, la porta per salire è proprio lì, di fronte a me; scende una signora, la guardo e le sorrido, lei mi sorride: questo sì, che è un buongiorno!
Il treno è semivuoto, tutta la gente che aspettava quel treno si è sparpagliata un po’ su questa carrozza, un pò sulle altre, ognuno prosegue per la sua strada; c’è posto per tutti; dove sedermi scelgo a caso, accomodo la valigia sopra la mia testa, e in quel momento il treno comincia la sua corsa. Sono le 8:03.
Il paesaggio non offre molta varietà, ma nonostante questo il mio sguardo si perde, rapito forse dalla matematica sequenza di ciò che si sussegue ai miei occhi. Distese di campi incolti, file di alberi che separano le diverse proprietà, case isolate che danno l’idea di essere abitate solo per la presenza di qualche finestra illuminata; si attraversa un centro abitato, il treno rallenta, attraversa una stazione deserta e ricomincia la sua corsa; ancora distese di campi, ancora case sparse qua e là, ancora file di alberi; un ponte, l’acqua scorre, gioca con piccole discese, fa mulinelli, salta e schizza se incontra un ostacolo: percorre la sua strada. Mi concentro su una piccola casetta, è lì in mezzo a uno dei tanti campi, non vedo nessuna stradina che le passa accanto e mi domando come raggiungerla, i miei occhi sono puntati su di lei, cerco la strada, solo quando ormai il treno è passato oltre, e io sono costretta a voltarmi per vederla ancora, la vedo, piccola, impolverata, probabilmente ricca di buche e sassi. Continuo il mio viaggio; un signore si avvicina e mi chiede se il posto davanti al mio è libero. Sì, gli rispondo. Avrà una cinquantina d’anni, ben vestito, giornale alla mano, si accomoda. Dalla tasca interna della giacca prende il telefono, compone velocemente un numero, attende una risposta, e poi con tono imbronciato saluta velocemente: << Ciao, arrivo a Bologna alle 9:28 >>.
Mette giù, prende il suo giornale e si immerge nella lettura.
Anch’io scendo a Bologna. Sono le 9:06. Ormai sono quasi arrivata.
Il paesaggio corre velocemente di fronte ai miei occhi, e anche il tempo, mando un paio di messagi e faccio una telefonata veloce: è quasi ora di scendere, arrivo in stazione e non ho molti minuti per controllare su che binario mi devo spostare per la coincidenza. Prendo la valigia, il treno rallenta, si ferma. Sul binario molta gente deve salire; un ragazzo dall’esterno mi apre la porta, io scendo, lui sale. Mi avvicino al cartellone degli orari, sono sul binario sette, devo andare al nove.
Il treno è già lì, un ultimo controllo al numero del treno: sì è questo. Salgo, anche stavolta prendo posto a caso, anche ora faccio accomodare la valigia sopra la mia testa; nessuno è seduto vicino a me. Sono in attesa che si metta in movimento. Non devo aspettare molto, ed ecco che la stazione di Bologna si allontana, sempre di più. Sono le 9:50.
Due giovani signore si siedono di fronte a me, parlano. Difficile rimanere indifferenti ai loro discorsi, le loro voci si rincorrono, senza tregua; ognuna delle due cerca un appiglio per proseguire il suo discorso, incurante del fatto che non è in linea con quello che la compagna di viaggio stava dicendo; raccontano i loro aneddoti senza nessun filo logico che li unisce tra loro, sembra una gara a chi dice più parole in minor tempo; rimpiango la giovane donna della radiosveglia: potevo spegnerla. Cerco di concentrarmi su altro, ma è difficile non sentire quelle voci che con impertinenza entrano nella mia testa. La mia ultima risorsa: apro la mia borsa, inizio a leggere quel libro che mi sono comprata pochi giorni fa: Jostein Gardeer. Ed ecco il silenzio intorno a me, immersa nella mia lettura non sento più le voci, il libro mi rapisce, nemmeno mi accorgo che il treno si è fermato a Ferrara; ormai siamo Rovigo quando alzo gli occhi dal mio libro. Le due giovani donne stanno ancora chiacchierando: << A che ora abbiamo la coincidenza a Venezia Mestre? >> Anch’io scendo a Venezia Mestre; e in quel momento mi torna in mente il signore di Bologna; arrivati in stazione nemmeno l’ho visto scendere dal treno. Ognuno ha preso la sua strada.
Sono le 11:23. << Biglietti prego >>, il controllore scrupolosamente legge ogni biglietto, risponde gentilmente alle domande che gli vengono fatte, pochi minuti e scompare nella carrozza successiva.
Riprendo in mano il mio libro, leggo ancora qualche pagina. Ormai è ora di prendere la valigia, il treno si sta fermando. Anche qui ho pochi minuti per raggiungere il binario sul quale arriverà l’ultimo treno del mio viaggio. E’ più facile di Bologna: scendo sul binario 1, e raggiungo il binario due. Sono le 11:47.
Dieci minuti, e il treno che mi porterà alla meta arriva.
Venezia Mestre è sempre affollata. Lo spazio per tutti sembra persino poco. Ho perso di vista le due giovani donne. Chissà che treno dovevano prendere. La gente si accalca sul binario, il treno è in arrivo. Sono le 12:02.
Questa volta non sono fortunata, mi trovo esattamente a metà tra una porta e l’altra. Mi dirigo verso destra, sembra che ci sia meno confusione. Salgo e mi ritrovo bloccata tra una carrozza e l’altra; non devo neppure fare lo sforzo di mantenermi in equilibrio, inevitabilmente sono appoggiata alle altre persone. Appena davanti a me un signore che era in viaggio dalle 3 del mattino, arrivava da lontano, e raccontava tutto il suo viaggio a chi, come me, non poteva fare altro che ascoltare.
Finalmente il treno rallenta e si ferma, le porte si aprono, aria fresca. E intanto quasi tutto il fiume di persone scende, liberando l’aria, liberando i posti, liberando spazio. Ognuno sulla propria strada.
Posso entrare nella carrozza e sedermi, non manca molto; e si riparte di nuovo.
Mi sono seduta ancora a caso, ma solo in quel momento mi rendo conto di aver sempre preso post accanto al finestrino, e di essermi seduta con lo sguardo rivolto nella stessa direzione di viaggio!
Il paesaggio qui è più vario; si attraversano centri abitati, e certi palazzi sono talmente vicini alla ferrovia che si può vedere nelle case. Maleducazione? No, è inevitabile. Il sole invita a tenere le finestre aperte, in linea d’aria la distanza tra me e quegli appartamenti è davvero poca. Saranno abituati ai treni che passano? Sentiranno il rumore di ogni treno che passa? Una signora è sul balcone stende i panni. Io ho visto lei, ma lei avrà visto me?
La mia attenzione viene in quel momento attirata da un anziano signore che sta parlando con il controllore. Si sta lamentando; doveva andare a Milano e quel treno sta andando nella direzione opposta. Difende la sua posizione: è colpa del treno, sul binario era indicata un’altra destinazione.
Il controllore gli spiega che la cosa migliore è quella di scendere alla prossima stazione.
Il signore si siede due o tre posti davanti a me, ancora dice che a sbagliare non è stato lui, è colpa del treno.
Ad un certo punto si alza, mi viene incontro: << Qual è la prossima fermata? >>
<< Sacile >>. Si prepara per scendere. Il treno rallenta, si ferma, lo vedo dal finestrino che si avvicina ad una signora e chiede informazioni; intanto il treno riparte. Chissà se davvero doveva andare a Milano; chissà a che ora sarebbe arrivato a destinazione; quale strada avrebbe seguito!
Manca poco, davvero poco; e il treno comincia a fermarsi. La mia compagna di viaggio è lì vicino a me spero di non aver dimenticato nulla. Mi avvicino alla porta, il sole entra dal finestrino; è caldo. Apro, l’aria fresca mi sorprende, carico la valigia in spalla, scendo.
E’ la mia strada quella che sto percorrendo, è la mia strada che proprio lì in quel momento mi ha portato a destinazione; la mia strada si è fermata, lì, solo io dovevo arrivare lì, solo la mia strada poteva terminare così: in un caldo abbraccio.
Sono le 12:58.


Miky


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