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TERREMOTO 1976

Stampato da : Concerto di Sogni
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Stampato il: 22/12/2024

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Autore Tema: zanin roberto
Oggetto: TERREMOTO 1976
Inserito il: 30/12/2003 16:49:48
Messaggio:


TERREMOTO 1976
racconto da raccolta UN VOLO NEI RICORDI 1997
di Zanin Roberto


Avevo appena finito gli studi, mi ero finalmente diplomato come perito chimico, già "lo scienziato", da bambino volevo fare lo scienziato, scoprire qualcosa di utile per l'umanità, magari piccola ma utile, ma era andata in maniera leggermente diversa, non tanto ma diversa.
Ero in uno stato di apatia mentale e fisica, mi era arrivata la cartolina per assolvere il servizio militare e a Dicembre di quel 1976 sarei dovuto partire alla volta di un paesino del Cividalese, mai sentito nominare, Ipplis, buon posto per piantare vigne ma non caserme!
In quella primavera calda, già all'inizio di Maggio, come quasi ogni sera, dopo cena, mi facevo la passeggiata che mi portava dalla "morosa", attraversando il paese con passo cadenzato, lasciando che le persone e le cose che incrociavo si fondessero in uno scenario quasi fisso sullo sfondo di un palco, cosi insignificanti.
Avevo conosciuto Rosanna nel 1974,(mia moglie) due anni prima e tra molti bassi iniziavo a fondere, insistendo molto, ad amalgamare quell'intruglio di sentimenti e pulsioni, le cose comuni, le aspettative, le illusioni, le chimere, le strane fantasie che in gioventù balenano come "chiodi fissi", le amarezze di un mondo lontano dalla grande rivoluzione che in tutti noi si doveva pur fare per migliorarlo.
Mi affascinava il suo mondo, il suo modo di essere anticonformista, di essere ribelle, completamente diversa da un teorico equilibrista quall'ero io, sempre predicando rivoluzioni teoriche.
Io parlavo, parlavo, le propinavo un misto di umanesimo poetico e una socialità continua verso tutto, lei mi ascoltava e continuava a dirmi che le insicurezze la attanagliavano, che la sola fuga le sembrava vincente.
...E le sere si susseguivano assorbendo ormai quasi tutta l'energia vitale di quel periodo, come spesso mi è successo quando mi getto in un progetto non conosco mezzo misure.
Arrivato al suo cancello smaltato di verde, inebriato dai profumi floreali del suo giardinetto, curato in maniera maniacale da sua madre,entravo e mi superavo in quel fastidioso imbarazzo di salutare i suoi genitori, sapendo che gli sarei stato a "rompere" anche quella sera, solo oggi capisco quanta pazienza hanno avuto con me e mi sedevo in cucina mentre si sparecchiava e si metteva in ordine, la televisione a catturare la situazione e gli occhi che si incrociavano per telegrafare stati d'animo, sentimenti, complicità.
Quella sera mi sedetti vicino alla grande finestra, sulla sedia che era ad un metro dalla televisione, il telegiornale parlava di gulag russi e suo padre continuava a brontolare che non era vero niente,..."...e gli americani nei villaggi vietnamiti non avevano forse fatto dei massacri indegni..."- ed io con misurato tatto a convincerlo che erano veri quei campi di prigionia in Siberia, sempre con estrema delicatezza, senza alterarlo, con Rosanna che mi sorrideva scuotendo la testa, indicandomi l'improbabile riuscita del mio ribattere,mentre asciugava i bicchieri e spostandosi con grazia mi rapiva il respiro,bella e dolce come solo io la potevo vedere.
Mi sentivo come un cristiano entrato alla Mecca, prigioniero del suo nemico, a cui devi chiedere un favore, sua madre guardava severa la figlia, la maglietta era attillata e le forme del seno erano in bella mostra, la gonna era corta, i capelli neri erano lunghi a scendere sul collo, quella sera mi perdevo a contemplarla e il problema che mi assillava era che per dirle che mi piaceva da morire, dovevo aspettare che i suoi andassero a dormire!
Ci fu un attimo in cui il caldo sembrava davvero estivo, era il 6 Maggio 1976, circa alle ore 21,15 ma sembrava Luglio, quasi umido afoso, le mani impacciate toccavano la colonna del muro portante dietro di me, in una posa un pò stiracchiata, quando mi venne un leggero capogiro, un vuoto fluttuato, l'equilibrio si perse e un rumore sordo, rombante, echeggiò nascendo dal nulla, tutto perse per un attimo il suo naturale posto,sfidando ogni legge della fisica,il muro si era spostato!, poi iniziò un fremito totale,ci alzammo istintivamente tutti contemporaneamente, balzando fuori con il cuore che batteva forte, sua madre ci raggiunse all'esterno dopo, per ultima, ci fermammo sul cancello la cui colonna era inclinata in una danza innaturale, le corriere parcheggiate sul piazzale di fronte a noi ebbero un moto d'onda, il boato cessò, le vibrazioni si placarono, le cose tornarono al loro posto, solo allora si urlo una parola nuova per me: " il terremoto!!!!"
Una forte scossa di terremoto aveva squassato quella sera di calda primavera il Friuli, sacrificando quasi 1000 persone alla sua macabra rappresentazione, l'epicentro era in Carnia, tra Gemona e Fagagna ma le onde avevano raggiunto anche la bassa friulana.
Per molti lo stupore ancora impediva di capire cosa era successo, anche se a Cordovado, il mio paese, lontano da quell'epicentro del monte S.Simeone, non ci furono vittime.
Passavano le ore ma nessuno aveva intenzione di rientrare in casa e quando ci si decise, la notte non finiva mai e i lampadari erano oggetto di culto continuo, essendo dei formidabili rivelatori di oscillazioni e il pensiero vagava nei recessi più nascosti della nostra coscienza indicandoci la fragile esistenza che vivevamo, bastava un capriccio della natura per distruggere ogni futuro.
Non c'era un nemico da perseguire, non c'erano energie sufficienti da applicare, non c'era alcun rimedio, nessuna fuga, c'era quella notte di paura, la coscienza di un uomo in balia del suo destino, unica risorsa una preghiera affinchè solo l'Onnipotente placasse gli elementi.
Per giorni, settimane e mesi quel ricordo cosi agghiacciante ci accompagnò nei nostri pensieri, convivemmo con una nuova paura.
Corsi quella notte verso casa, dai miei, asimando e diviso tra la mia famiglia e la mia Rosanna, avendo il rimorso di non essere stato li con i miei, ma poi fuori sugli scalini dell'ingresso vidi che fratelli, genitori e la nonna s'erano avvolti in coperte e sorrisero appena mi videro.
Da allora la piena sicurezza della ragione mi ha abbandonato, lasciando il posto alla ineluttabilità del destino, figli d'un fato scritto e irremovibile, schiavi di una vita che stà nelle mani di un Superiore, di un Dio che possiamo chiamare come vogliamo senza dimenticarci ogni tanto di ringraziarlo d'esistere.


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