Guardastelle
Stampato
da : Concerto di Sogni
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Stampato il:
22/12/2024
Tema:
Autore Tema: Paolo Talanca
Oggetto:
Guardastelle Vorrei riproporre, approfondendolo, un tema presente su Concertodisogni all'indirizzo Pubblico questa mia analisi grazie alla gentile autorizzazione di Stefano De Martino, patron del Premio Lunezia che è il riconoscimento al valore letterario nelle canzoni italiane e che si svolge ogni anno nel mese di luglio ad Aulla, in provincia di Massa. GUARDASTELLE Il sogno. Questo è sicuramente il filo conduttore della canzone “Guardastelle” di Bungaro. -------------------------------
Inserito il:
01/10/2004 20:30:50
Messaggio:
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Il brano inizia con una deissi che già pone magistralmente l’ascoltatore in un luogo incerto. Quel “da qui”, ripetuto perpetuamente, permette di elevare l’immaginario in una sensazione sospesa e completamente familiare, dove l’autore può essere sé stesso ed entrare nella propria soggettività. Dopo aver donato questa sensazione di libertà, Bungaro trasforma il “da qui” in “da milioni ad occhio e croce di persone”, dove quel “da” acquista una superba ambivalenza. Da una parte c’è il significato letterale della frase, che vuole porre l’autore dentro il punto di vista di ogni persona per evidenziarne l’esclusività. Dall’altra parte c’è un senso semantico strozzato, come se – grazie al titolo – si stesse per quantificare una distanza, un “milioni di anni luce”, e quindi un isolamento che permetta la contemplazione insita nel titolo.
Da questo momento in poi l’opera assume un’ottica completamente terrena. Con l’aver assunto come protagonisti della canzone sé stesso ed il mondo, l’autore rende chiaro il suo punto di vista. Quasi a esaltare le possibilità insite dentro ogni individuo, lo slancio poetico del testo permette ai soli mezzi umani di spiccare il volo, di guardare le costellazioni senza lenti artificiali. Il distico di endecasillabi che precede i due movimenti di ritornello sono fondamentali in questo senso: “E ho fantasia e posso anche volare | la fantasia lo sai ti fa volare”. Con il lasciapassare della fantasia parte il ritornello e l’appellativo di “guardastelle” sta, metaforicamente, come un sognatore assorto e perfettamente a suo agio nell’astrazione dal presente. Il “tu” del ritornello può essere una donna, ma più verosimilmente è il guardastelle stesso, in una dedica fatta di stelle che splendono e come fiammelle bruciano solo per lui. Allo stesso tempo, poi, rappresenta uno slancio di solidarietà e fratellanza.
Ed il guardastelle è proprio libero in quel suo spazio unico e riservato. Da lì si può volare, ci si può perdere in un mistero e persino interagire col mondo per risolvere uno dei tanti mali, forse il peggiore, il male della guerra. Tutto questo esplode nel movimento di variazione finale della canzone, dove il parallelismo tra il sogno e la realtà è splendidamente introdotto con il chiasmo cielo/terra, uomo/stella. “Ogni uomo è una stella”, un destino, una serie di azioni da compiere, un protagonista sulla terra come le stelle nel cielo. La speranza è “sospesa tra la scienza e la guerra”, la speranza risiede così in ogni uomo, ed anzi “è” ogni uomo a metà strada tra il rinsavimento della ragione e la folle barbarie della guerra, assoluto primo attore che come tale ha la possibilità di scegliere il suo destino. Proprio la parola speranza pretende, però, che la scelta da fare sia quella più sensata di non protendere per la guerra.
Il ritornello finale, riproposto a suggello dell’opera, è un rinnovato barlume di fiducia rappresentato dall’atmosfera eterea dell’accostamento tra stelle e fiammelle. E’ il credere a qualcosa di più grande, come una serenità da ritrovare ed un auspicio per il futuro, un sogno immenso ed immortale che conta sulla bontà del cuore di ogni uomo/guardastelle.
Il ritorno al solo pianoforte, in questa riproposizione del ritornello, ci apre il pensiero ad un qualcosa di più intimista. Risulta fondamentale l’osmosi tra la musica e le parole per tutta la durata della canzone, con una melodia che si apre su parole chiave come “pace”, “volare” o la stessa “guardastelle”. Nel finale, in particolar modo, la voce che torna a duettare col solo pianoforte ci catapulta in una situazione dialogica sensibilissima, particolarmente suggestiva e rappresentante di quella magia dell’unione tra musica e parole che da anni il Lunezia celebra e valorizza.
So che si può vivere non esistendo, emersi da una quinta, da un fondale, da un fuori che non c'è se mai nessuno l'ha veduto
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