di Carmine MONACO
(Coordinatore dell'Osservatorio sul razzismo e sull'antisemitismo promosso dalla L.I.D.U., Lega Italiana per i Diritti dell'Uomo - Associata F.I.D.H.)
1. L'immaginario antisemitaL'immaginario contribuisce in varia misura alla costruzione delle civiltà, favorendone la conservazione, la trasformazione o la loro distruzione. Va perciò esplorato, conosciuto e preso come riferimento necessario per la comprensione dei fenomeni che ci circondano e di quelli che riguardano noi stessi. La principale forma rappresentativa e comunicativa dell'immaginario è il simbolico, che, come ci ricorda l'etimo greco, è ciò che unisce, organizza nessi, relazioni con le cose, con se stessi e con gli altri, col mondo reale e quello non visibile. Muovendo dalle zone più recondite dell'inconscio, il simbolico tocca le più alte conquiste della ragione e della scienza, coprendo l'intera gamma delle attività e delle possibilità umane. L'uomo, del resto, è l'animale simbolico per eccellenza: fatto a immagine e somiglianza divina, nasce, per così dire, "artista", artefice del proprio destino e di quello altrui. Essendo una realtà universalmente presente in tutte le strutture e le dinamiche sociali, il simbolico affiora - forse in forma più immediata che altrove - nella politica e nella propaganda, dove spesso rischia di assumere connotati negativi.
Entrambe capaci di "gerarchizzare" il simbolico, politica e propaganda producono e si nutrono di miti che sono a loro volta proiezioni oggettivate ed elaborate dell'immaginazione simbolica. Le dittature totalitarie nazista, fascista e comunista elaborarono politiche e propaganda sulla base di un immaginario da esse stesse determinato, imposto come verità assoluta ai loro "credenti" e tenuto in massimo conto anche quando il puro bisogno materiale e la necessità si imponevano come scelte determinanti. La furia antisemita del regime nazista fece sì che, persino di fronte all'imminente catastrofe, si impegnassero uomini, mezzi e preziose risorse per sterminare gli ebrei, accecati da un odio atroce che non voleva perdere le sue valenze di riconoscimento, di aggregazione e di guida delle proprie aberranti azioni, costituite sulle dimensioni simboliche e mitiche del superuomo ariano interamente dedito a conquistare il mondo e a liberarlo dalla "razza ebraica". L'antisemitismo, dunque, anche come fenomeno esemplificativo per eccellenza dell'uso perverso dell'immaginario nella politica e nella propaganda, organizzato da maestri della menzogna che finiscono poi col credere ciecamente alle loro stesse invenzioni. Alcuni studiosi individuano i segni della sconfitta di quelle feroci dittature già nella disgregazione, nella corruzione, nella crisi di identità collettiva che segnò il decadimento delle società europee che accolsero come salvifiche le teorie e le illusioni dell'immaginario nazifascista, sottovalutandone così l'estrema pericolosità e dimenticando che la vittoria del fronte democratico fu tutt'altro che facile e scontata.
Alla fine della seconda guerra mondiale, le nazioni occidentali sono state quasi del tutto liberate dal male nazifascista e strenuamente difese dall'incombente minaccia del totalitarismo comunista sovietico. In democrazia i cittadini godono in varia misura dei diritti e delle libertà previste dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Ma, così come è un errore confondere democrazia e libertà, tanto più grave è pensare che queste siano conquiste ormai al riparo da qualsiasi minaccia esterna o interna. Purtroppo non è così: democrazia e libertà esisteranno fino a quando saremo capaci non soltanto di vigilare e difendere quanto conquistato a così caro prezzo, ma di ampliare e rafforzare sempre più la sfera delle libertà.
2. Antisemitismo e propaganda antidemocratica
L'antisemitismo odierno è, ieri come oggi, fortemente simbolico di una grave minaccia ai diritti umani, alla libertà e alla democrazia. Dopo la Shoah, l'antisemitismo è stato un tabù pressoché invincibile. Fino ad oggi. Dopo l'antisemitismo religioso medioevale e quello di stato dei regimi nazifascisti e comunisti, siamo costretti ora a fronteggiare un antisemitismo ibrido di propaganda nazionalista e religiosa elaborato soprattutto nell'ambito della società araba dalle sue componenti più pericolose e divulgato da predicatori, da organizzazioni terroristiche, da governanti e sudditi di tali regimi, sia all'interno sia all'esterno dei rispettivi paesi di appartenenza. Fin dalla sua nascita, l'antisemitismo arabo non nasconde le sue mire economiche e territoriali: assorbendo gli slogan e le parole d'ordine dei suoi omologhi nazifascista e comunista, accusa gli ebrei di aver inventato capitalismo, socialismo, democrazia e diritti umani allo scopo di dominare il mondo mediante l'occupazione dei posti chiave nelle società. Usando tale pretesto, ne confisca beni e proprietà, vieta loro di svolgere determinate professioni e di ricoprire qualsiasi carica pubblica o ruolo privato che sia, li caccia dalle sue terre e li uccide. Il tristemente celebre "Protocolli dei Savi Anziani di Sion", un falso storico elaborato oltre un secolo fa dalla polizia zarista per giustificare i pogrom, è uno dei pochi best-seller nel mondo arabo: un "successo" editoriale tale da essere addirittura inserito nel catalogo della biblioteca egiziana di Alessandria accanto alla Torah e al Talmud (e l'Egitto è uno dei pochi paesi arabi ad aver stipulato un trattato di pace con Israele). La stessa Lega Araba nasce in esplicita funzione anti-israeliana, con lo scopo dichiarato di distruggere "l'entità sionista". Dopo secoli di convivenza più o meno serena, comunque migliore di quella tra cristiani ed ebrei, a seguito delle violenze seguite alla nascita dello stato d'Israele sancita dall'ONU, quasi ogni stato arabo è oggi "Judenfrei" (come non era riuscito nemmeno alla Germania nazista).
La questione israelo-palestinese viene spesso additata tra le cause dell'antisemitismo odierno (anche in Europa), e sono ormai in molti ad ammettere che, al di là della legittima possibilità di criticare l'operato dei governi e delle autorità israeliane, in taluni casi esiste un forte pregiudizio di fondo che è stato capace di cambiare forma e di resistere ai mutamenti dei tempi. Cos'altro è, se non espressione del peggiore antisemitismo, l'appello rivolto dal primo ministro malese Mahatir a tutti i mussulmani del mondo (1 miliardo e 300 milioni di credenti) affinché si adoperino per apprendere la scienza e la tecnica occidentali, non al legittimo scopo di migliorare le loro spesso difficili condizioni di vita, afflitti come sono dai livelli di libertà e di reddito pro-capite più bassi del pianeta e da un analfabetismo che riguarda centinaia di milioni di adulti, bensì per prendere le armi contro i cinque milioni di ebrei israeliani, e finalmente sconfiggerli? Invito che peraltro gli è "costato" l'esplicita condanna degli USA, le critiche degli europei e una promozione ai vertici della Lega Araba. L'antisemitismo può essere un buon affare, tutto sommato.
L'immaginario antisemita e antioccidentale allestito dalla politica-propaganda araba per incitare all'odio antiebraico i fedeli di Allah, non si limita certo a diffondere i "Protocolli dei Savi Anziani di Sion", ma contempla ad esempio serial televisivi in cui i rabbini impastano gli azzimi di Pasqua con il sangue dei bambini cristiani e centinaia di simili rappresentazioni "artistico-didattiche". Abbiamo libri di scuola infarciti di odio e docenti di università arabe che, con i loro studi, confermano ogni assurda teoria antiebraica e antioccidentale escogitabile da mente umana; teorie che vengono tollerate, quando non condivise, anche da alcuni loro colleghi delle università francesi, italiane, britanniche e americane, e che si esprimono concretamente in boicottaggi di università, docenti e persino studenti israeliani ed ebrei. In Europa, oltre al caso limite della Francia, assistiamo a segnali davvero allarmanti in Belgio, Svezia, addirittura in Danimarca, uno dei pochissimi stati europei che si opposero fermamente alla Shoah (il re in persona uscì con la fascia gialla con la stella di Davide al braccio, quando i nazisti la imposero agli ebrei durante l'occupazione), dove pochi giorni fa un gruppo islamico ha offerto una taglia di 30.000 dollari per la vita di alcuni importanti rappresentanti dell'ebraismo danese.
3. L'approccio europeo alla questione dell'antisemitismo
Antisemitismo e violenza si intrecciano spesso in una forma di propaganda potente ed efficace perché estremamente dotata di mezzi finanziari e strumenti di pressione politica, in grado di condizionare pesantemente anche i lavori dell'ONU, come dimostrarono le pesanti intimidazioni rivolte a Durban ai rappresentanti israeliani, e qualche amara riflessione scaturisce anche dall'analisi dell'ormai prassi quotidiana di condannare Israele ancor prima di iniziare i lavori.
Una propaganda feconda di risultati concreti in particolare in Europa, come rivela il recente dossier dell'Osservatorio sui fenomeni xenofobi e razzisti, malamente insabbiato dalle autorità. Il 5 gennaio 2004 il quotidiano inglese Financial Times pubblica in prima pagina un intervento, "Il tradimento morale dell'Europa sull'antisemitismo", firmato dal Presidente del Congresso mondiale ebraico Edgar Bronfman e dal Presidente del Congresso europeo ebraico Cobi Benatoff, dove si accusa la Commissione Europea di antisemitismo "con l'azione e con l'inazione", in particolare su due fatti: sul sondaggio truccato di Eurobarometro, che pose Israele (e Stati Uniti) in cima alla classifica delle minacce alla pace mondiale, e sul Rapporto tenuto nascosto dell'Osservatorio Europeo dei fenomeni del razzismo e xenofobia (EUMC) dove si denunciava che l'odio antisemita é alimentato da gruppi islamici e filo-palestinesi operanti in Europa. Il Presidente della Commissione Romano Prodi risponde con una lettera ai rappresentanti delle due autorevoli organizzazioni ebraiche, annunciando la sospensione del Seminario sull'antisemitismo promosso dalla Commissione per il prossimo mese di Febbraio a Bruxelles. Ci chiediamo: perché sospendere (o annullare) un convegno che doveva trattare proprio gli argomenti evidenziati dalla lettera apparsa sul Financial Times? E' così che la Commissione intende rispondere alla mera enunciazione di fatti e circostanze operata da due dei più autorevoli rappresentanti del mondo ebraico, europeo e mondiale? Ciò non è ammissibile. Di fronte al risorgere di un fenomeno che, proprio in Europa e appena mezzo secolo fa, ha causato 6 milioni di vittime innocenti, di fronte alle migliaia di famiglie francesi che stanno già abbandonando la "patria dei Lumi" e della Rivoluzione a causa delle violenze antisemite scatenate da fanatici ed estremisti, le autorità europee, capaci di esprimere spesso autorevoli pareri in materia di diritti umani all'estero, hanno il dovere di affrontare immediatamente il problema, non di insabbiarlo. Per fortuna, la forte e inequivocabile condanna dell'antisemitismo espressa nel documento conclusivo del semestre di Presidenza italiana dell'UE bilancia ancora, in qualche modo, questa temporanea defaillance; nel frattempo occorre incoraggiare altre iniziative sullo stesso argomento, come quella del Ministro Frattini presso i suoi colleghi Ministri degli Esteri europei, a cui chiederà di riprendere la questione qualora la Commissione non tornasse sui suoi passi.
Nel tentativo di giustificare o trovare una ragione plausibile all'insensato atto di nascondere la sporcizia sotto il tappeto, giorni fa un autorevole commentatore, Alain Finkielkraut, sulle pagine di Repubblica ha attribuito tale gesto all'incredulità europea di fronte al fenomeno antisemitismo che toccava "popolazioni vittime potenziali dell'esclusione e del razzismo". Siccome il rifiuto europeo dell'Altro poteva riguardare alternativamente neri, arabi e ebrei, secondo Finkielkraut, davanti all'antisemitismo arabo le autorità europee sarebbero state colpite da choc: "Ma come? Esistono vittime del razzismo che possono diventare antisemite?!" Come se le autorità europee, esprimendo una forma di razzismo più subdolo di quello che ispirava e giustificava il colonialismo, ritenessero i cittadini europei i soli "legittimati" a essere razzisti. Un simile ragionamento trascura il fatto che per secoli il pensiero arabo ha giustificato (e in alcune regioni giustifica tuttora) sia il commercio di esseri umani, in particolare dei neri, venduti per secoli come schiavi agli europei per le loro colonie, sia il vero apartheid praticato in Medio Oriente e nel mondo arabo, ovvero quello delle donne mussulmane, tenute in condizioni di subalternità rispetto all'uomo, spesso soggette a violenze domestiche di ogni tipo, mutilate nella persona, nella sessualità e nella dignità in base ad una tradizione terribilmente dura (una donna su due non sa leggere né scrivere, il tasso di mortalità per il parto è il doppio rispetto a quello dell’America latina e il quadruplo di quello dell’Asia orientale, il livello di partecipazione femminile alle attività lavorative è superiore solo ai Paesi dell’Africa sub–sahariana, la rappresentanza politica femminile è irrisoria, in alcuni casi inesistente, le donne occupano solo il 3,5 per cento di tutti i seggi disponibili nei parlamenti della regione: questo è apartheid).
La situazione è tale che un serio dibattito sui temi del razzismo e dell'antisemitismo non è più rimandabile. La realtà salta agli occhi di chi vuol vedere: l'antisemitismo odierno costituisce uno degli strumenti di propaganda essenziali nelle strategie adottate da un terrorismo internazionale ancora pericolosissimo, braccio armato di un progetto politico posto in essere da gruppi di interesse che mirano a destabilizzare quelle società e quelle nazioni individuate come soggetti deboli proprio in quanto aperte, libere e democratiche. Nel quadro di una più ampia e violenta lotta per il potere, le dinamiche più complesse e pericolose per l'ordinamento libero e democratico delle nostre nazioni sono messe in moto e finanziate da associazioni e gruppi ideologicamente vicini, con obiettivi politici affini a quelli degli strateghi dell'11 settembre. Anche in Gran Bretagna, Francia, Italia, Germania, Stati Uniti, Canada, Australia, ovunque gli input essenziali antiebraici, anti-israeliani e antioccidentali provengono dalle stesse organizzazioni che manovrano e finanziano la lotta e le violenze dei gruppi più estremisti: e non è solo questo il dato più fastidioso tra quelli emergenti dal rapporto dell'Osservatorio sui fenomeni xenobobi e razzisti che l'UE ha tentato di ignorare. L'analisi finisce con il coinvolgere alcune organizzazioni politiche europee culturalmente vicine, compiacenti o comunque tolleranti riguardo al fenomeno del nuovo antisemitismo arabo, così contiguo all'antirazzismo "progressista" europeo che quest'ultimo finisce per assumere acriticamente le tesi e gli slogan del primo, accusando sempre e comunque Israele di essere uno stato razzista che pratica l'apartheid, la nuova Germania nazista o il nuovo Sudafrica. Forse alcuni leader europei credono sinceramente che il problema sia Israele, in accordo con l'aberrante indagine di Eurobarometro. Allora a maggior ragione bisogna parlarne, non insabbiare, e se qualcuno non vuole, parliamone ancora di più: in fondo, esplorare, comprendere e definire il punto di vista nostro e dell'interlocutore, qualunque esso sia, significa compiere in ogni caso un notevole passo in avanti, soprattutto in tempi in cui si fa un gran parlare di società multietnica e dialogo interculturale.
4. L'antisemitismo, pretesto e paravento
Temo che abbia pienamente ragione Finkielkraut quando conclude la sua analisi affermando che "l'antisemitismo resterà, qualunque sia la politica di Israele". L'antisemitismo arabo è infatti un efficace antidoto ai problemi di quei governi autoritari e teocratici, un rimedio alla loro incapacità, o meglio, all'assoluta mancanza di volontà di migliorare le condizioni di vita dei propri "sudditi". Il conflitto israelo–palestinese rappresenta per i leader arabi "una causa e un pretesto per rinviare le trasformazioni democratiche", come affermava il rapporto Onu sullo sviluppo umano dei Paesi arabi, commissionato dall’Ufficio regionale per gli Stati arabi dell’Undp (il programma dell’Onu per lo sviluppo) e dal Fondo arabo per lo sviluppo economico e sociale, e affidato ad una trentina di studiosi arabi che effettuarono una "analisi dall’interno" dei 22 Paesi della Lega Araba.
"Una causa e un pretesto" e soprattutto il paravento ideologico dietro cui una precisa classe dirigente conduce i suoi giochi di potere, allo scopo di rendere sempre più incontestabile la propria autorità sui popoli loro sottomessi; un paravento che, al tempo stesso, le consente di portare avanti i propri piani di espansione politica, economica e territoriale attraverso una efficace capitalizzazione del consenso e dello jihad; un paravento soprattutto al fatale scontro fra musulmani e cristiani che scuote l'intera fascia sub–sahariana, dall’Eritrea al Sudan alla Nigeria, all’Oceano Atlantico, e non solo. Laddove non ci sono ebrei, l'intolleranza araba colpisce profondamente le altre minoranze: in Sudan il governo del Nord perseguita i cristiani e gli animisti del Sud; ultimamente persino in Costa d’Avorio i musulmani del Nord hanno attaccato i cristiani al Sud. In un incredibile silenzio, nel gennaio 2000 sono stati decimati i cristiani copti in Egitto. In Nigeria i musulmani tentano di imporre una versione severa della Shar'ia, e ormai da tempo sono soprattutto i cristiani a morire e ad essere perseguitati, come dimostrano le stragi "provocate" anche da un semplice concorso di bellezza, come l'elezione di Miss Mondo.
L'Unione Europea ha il dovere morale e politico di intervenire di fronte alle ingiustizie, ha il diritto di presentare un suo progetto basato sulla sua visione del mondo, ma affinché sia degno della sua migliore cultura e tradizione, occorre che questo progetto escluda categoricamente la pratica di condannare sempre e comunque Israele per guadagnarsi il consenso arabo, così come qualunque tentazione di sacrificare i nostri fratelli e concittadini ebrei sull'altare di una pacifica quanto illusoria "immunità" dagli attacchi degli strateghi del terrorismo islamico (o, peggio, per ottenere qualche ulteriore privilegio nell'accesso alle risorse energetiche). Ieri la vile logica di Danzica distrusse ogni credibilità europea. La sua dignità e il suo ruolo guida andarono perduti a causa dell'orrore scatenato dai regimi nazifascisti, che avevano proprio l'antisemitismo tra i princìpi cardine del loro progetto di conquista del mondo. Oggi l'Europa democratica aspira nuovamente e legittimamente ad un ruolo nella storia, perciò deve oggi stesso avere la forza e il coraggio di promuovere la lotta all'antisemitismo quale battaglia fondamentale per il concetto stesso di civiltà e per la futura pacifica convivenza tra i popoli, nel quadro di una più ampia affermazione e diffusione dei diritti umani.
Una battaglia carica di significati e fortemente simbolica, non soltanto per lasciarci davvero alle spalle un orrendo passato, ma anche e soprattutto per rendere moralmente accettabili (e anche più gestibili sul piano pratico) le nostre relazioni sia con le nazioni che si affacciano sul Mediterraneo, sia con le comunità arabe e islamiche presenti in misura sempre più numerosa sul nostro territorio. L'Europa deve dimostrare che una civile, pacifica e prospera convivenza tra le diverse anime della cosiddetta Casa comune europea e mediterranea è non soltanto possibile, ma necessaria, doverosa, obbligatoria. Si tratta, in ultima analisi, di accettare realmente i principi sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e di chiedere in maniera inequivocabile al mondo arabo e islamico di fare altrettanto, facendo sì che la concreta applicazione di tali principi costituisca un parametro fondamentale nei futuri rapporti tra Stati e nella stipula di accordi e trattati.
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